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Udine, il comandante del Ris di Parma al festival Collega-menti: «Al lavoro sul caso Unabomber»

“Il dubbio è spiacevole, ma la certezza è ridicola”, scriveva Voltaire. Citando il grande autore francese, Giampietro Lago, comandante del Ris di Parma, voce dell’incontro finale del festival “Collega–menti”, cerca di spiegare che cosa si prova a fare il suo mestiere.

Una professione in cui è facile passare da un estremo all’altro: tutti hanno grande fiducia nelle indagini scientifiche, ma basta che qualcuno insinui un minimo dubbio, perché quella fiducia svanisca nel nulla. E gli esempi si sprecano, se pensiamo a molti casi di cronaca nera degli ultimi anni. «Siamo gli scienziati in divisa: il nostro compito è portare alla luce informazioni strutturate e coerenti, utili a comprendere meglio la responsabilità soggettiva di una persona e poi a chiarire la dinamica dei fatti», spiega Lago, ricordando che le “informazioni” emerse dal lavoro su un caso possono diventare prove solo al vaglio del processo. La macchina della giustizia è complessa e intervengono molti soggetti, ma la sentenza spetta al giudice.

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«Un caso interessante che riguarda il Friuli Venezia Giulia e su cui è in essere un lavoro abbastanza esteso, partito da circa un anno, è quello di “Unabomber”», rivela Lago a margine dell’incontro, tenendo a specificare che non può dire altro. Del resto, la vicenda del bombarolo seriale non identificato, autore di diversi attentati dinamitardi in Veneto e Friuli Venezia Giulia tra il 1994 e il 2006, è così intricata e complessa che ben si presta per esemplificare il margine di dubbio su cui ruotava la conferenza “Tra attesa e realismo: cosa può darci davvero la ricerca?”.

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«La tecnologia, oggi più di ieri, ci mette a disposizione strumenti all’avanguardia per ridurre l’intervallo di incertezza che caratterizza qualsiasi indagine. Il nostro lavoro è comprendere quali sono i limiti di questa incertezza e come possiamo in qualche modo amministrarla», continua Lago. «L’ultimo ventennio ha visto il grande sviluppo della tecnologia per l’analisi del Dna, mentre l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando l’analisi dei dati». Tecniche sempre più sofisticate, che però non garantiscono agli scienziati in divisa la verità assoluta.

«Un’altra disciplina sottoposta al rischio dell'incertezza è la medicina», dice Massimo Robiony, docente di Chirurgia maxillo-facciale all’Università di Udine. «Spesso, quando ci ammaliamo, ci chiediamo perché la stessa terapia non funziona allo stesso modo su tutti. Accade perché la medicina non è una scienza esatta», continua, facendo appello alle differenze individuali che irrimediabilmente determinano il successo o il fallimento di una cura. «Genetica, formazione, cultura, stato psicologico: sono tutti elementi che ci fanno approcciare alla malattia in modo diverso, senza contare le comorbidità, cioè la presenza di più patologie in contemporanea», prosegue Robiony.

«Quando abbiamo a che fare con sistemi complessi, come le indagini o la medicina, è impossibile gestire la probabilità che qualcosa non vada come ci aspettiamo», aggiunge Gianpiero Dalla Zuanna, docente di Demografia all’Università di Padova. «Spesso pensiamo che se una cosa è appena accaduta è impossibile che accada di nuovo: c’è qualcosa di evoluzionistico in questo atteggiamento, ma nulla di logico», conclude il professore. «AI e machine learning non bastano».

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