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Quando la vittima si fa carnefice: una riflessione psicologica sulle due guerre

Una constatazione frequente in psicologica è il passaggio fra il ruolo di vittima e quello di carnefice. Bambini abusati sessualmente divengono troppo spesso adulti che abusano; persone che hanno subito una violenza fisica frequentemente si trasformano in violenti. Il trauma è stato definito come un evento psicologico di minaccia e sopraffazione di tale entità da superare le capacità di adattamento emotivo. Viene compromessa la continuità mentale, determinando una lacerazione della sfera psicologica.

Secondo la teoria del trauma il soggetto, di fronte a un evento psicologicamente intollerabile, attua una scissione (divisione) del proprio “io psichico” con una parte che, pericolosamente, tende ad identificarsi con l’aggressore. Quindi spesso nello stesso soggetto convivranno negli anni successivi due parti: una che si vive nel ruolo di vittima e una in quello del carnefice.

Il passaggio della vittima a svolgere, nel corso della vita, il ruolo del carnefice incarna una possibilità legata a questo vissuto interiore. Per coloro che conoscono la storia di quella che un tempo era la vittima appare strano che possa assumere il ruolo del carnefice anche perché “dovrebbe sapere quello che si prova”. Colui che è stato vittima e ora diviene carnefice stranamente non avverte sensi di colpa, in quanto in lui permane una componente che avendo subito abusi o violenze si sente esentata e “in credito col mondo”.

Mi venivano in mente questi pensieri sulla teoria del trauma mentre ascoltavo le notizie sulle due guerre che stanno pericolosamente mettendo in crisi il nostro mondo.

E’ chiaro che gli israeliani che hanno subito la Shoah ora sembrano non capire la situazione terribile dei palestinesi. I palestinesi e i loro alleati dal canto loro sembrano assolutamente avulsi dai sensi di colpa per atti terroristici. Lo stesso, in modi diversi, avviene fra ucraini e russi per cui le vittime del nemico appaiono come mostri che finalmente sono stati eliminati e non come esseri umani.

La vittima che diviene carnefice senza provare sensi di colpa e pietà è veramente un meccanismo perverso della psicologia umana. Forse è stata una modalità di vivere le emozioni delle guerre, utile nell’evoluzione, ma ora che desidereremmo un mondo pacifico diviene un meccanismo perverso che porta a proseguire le faide e le battaglie a tempo indefinito. Fino all’annientamento dell’avversario… pare l’unico fine che va di pari passo con quello che il nemico proverà verso gli avversari. Mantenere la capacità umana di percepire la sofferenza nei nostri amici, ma anche nei nemici, di capire, anche se non si è d’accordo, le loro ragioni è sempre più arduo.

Anche alcuni giornali italiani, scandalosamente, attuano due pesi e due misure rispetto alle vittime dell’uno o dell’altro contendente. Con questo scritto vorrei indurre una riflessione sulla necessità di rimanere capaci di comprendere la sofferenza di tutti: anche dei nemici.

L'articolo Quando la vittima si fa carnefice: una riflessione psicologica sulle due guerre proviene da Il Fatto Quotidiano.

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