Non solo deforestazione: le 29 grandi aziende di carne e latticini emettono lo stesso metano delle 100 maggiori compagnie di oil&gas
Le emissioni stimate di metano di 29 grandi aziende produttrici di carne e latticini a livello mondiale sono comparabili a quelle delle 100 maggiori società del settore dei combustibili fossili. Anche le stime di emissione dell’italiana Cremonini arrivano a superare quelle di diverse compagnie oil&gas, mentre le maggiori aziende produttrici di carne e latticini (JBS, Marfrig, Minerva, Cargill e Dairy Farmers of America) emettono, a livello globale, più metano di BP, Shell, ExxonMobil, TotalEnergies e Chevron messe insieme. Sono alcuni dei dati emersi da un nuovo rapporto di Greenpeace Nordic, nel quale l’ong si concentra sulle emissioni di metano (quelle effettive del 2022 per le aziende fossili e le stime di emissioni per quelle produttrici di carne e latticini, ndr) e sul contributo di queste società alla crisi climatica. Si parla, infatti, di un gas a effetto serra 80 volte più potente dell’anidride carbonica nell’arco di 20 anni dall’emissione. Di fatto, se ai primi quattro posti della classifica delle aziende che emettono di più ci sono Gazprom con 8,04 milioni di tonnellate di metano emesse nel 2022, seguita da National Iranian Oil (5,84), Coal India Ltf (5.10) e Saudi Aramco (5,05), al quinto c’è la brasiliana Jbs, la più grande azienda di lavorazione della carne del mondo, con 4,52 milioni di tonnellate stimate per il 2022, più di colossi del fossile come la Abu Dhabi National Oil Company (2,33 tonnellate di metano), Exxonmobile (2,21), Chevron (1,93) e Shell (1,91). Sono brasiliane anche la Marfrig che, considerando le stime di emissioni di metano, supera con 1,8 tonnellate quelle emesse nel 2022 da Totalenergies (1.7) e Minerva Foods che, con 1,10 milioni di tonnellate stimate, supera quelle emesse da Eni (1,07). Al 68° posto della classifica, ventesima tra quelle produttrici di carne e latticini, c’è il gruppo italiano Cremonini: 0,32 milioni di tonnellate di metano stimate, più della compagnia tedesca Rwe, della società petrolifera polacca Orlen e della Devon Energy, impegnata nell’esplorazione di idrocarburi negli Stati Uniti.
Le emissioni di metano dell’industria della carne e dei latticini – Oggi gli allevamenti sono la maggiore fonte di metano di origine antropica. “Secondo le stime emerse nel rapporto, le 29 aziende produttrici di carne e latticini analizzate emettono circa 20 milioni di tonnellate di metano all’anno, pari a un quinto del totale delle emissioni globali di metano provenienti dallʼallevamento, come riportato dalle Nazioni Unite” spiega a ilfattoquotidiano.it Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. Jbs, il più grande produttore di carne al mondo, “già noto per i suoi pessimi risultati in materia di deforestazione, è anche responsabile di emissioni di metano maggiori di ExxonMobil e Shell messe insieme”. Anche quelle dei tre principali trasformatori di prodotti lattiero-caseari (Dairy Farmers of America, la francese Lactalis e la neozelandese Fonterra) messe insieme, supererebbero quelle di alcune delle più grandi compagnie di combustibili fossili come ExxonMobil. “La mancanza di trasparenza fa sì che molte aziende produttrici di carne e latticini non pubblichino i dati relativi alla produzione di carne o alla lavorazione del latte, né rendano conto delle loro emissioni di anidride carbonica e metano” segnala Greenpeace. Le 29 aziende analizzate, dunque, sono solo un elenco indicativo, ma va considerato che ve ne sono certamente molte altre.
Il gruppo Cremonini: le emissioni stimate superano quelle di diverse società fossili – Il rapporto esamina anche i piani d’azione per il clima, in gran parte insufficienti, di dieci aziende, tra cui lʼitaliana Cremonini. “I piani climatici – scrive Greenpeace – non hanno parametri e obiettivi coerenti e armonizzati tra le aziende e i dati autodichiarati mancano di una verifica indipendente. Ciò rende nella pratica impossibile confrontare le aziende e i loro progressi verso una reale azione per il clima”. Cremonini, tramite la controllata Inalca, è uno dei maggiori player europei per la produzione di carne bovina, numero uno in Italia nel settore. Controlla numerosi marchi nazionali, tra cui Montana, Manzotin, Fiorani e Montagna. Nel 2022 ha commercializzato complessivamente quasi 480mila tonnellate di carne. Di queste, oltre 200mila tonnellate di carne bovina sono state macellate direttamente da Inalca nei propri stabilimenti, mentre oltre 230mila tonnellate di carne bovina e 40mila tonnellate di carne suina sono state acquistate presso terzi, per un totale di emissioni stimate pari a 0,32 milioni di tonnellate di metano. “Nelle 165 pagine del Bilancio di sostenibilità 2022 – si ricorda nel rapporto – Inalca dedica quattro pagine al proprio impatto sul cambiamento climatico: due pagine su come vengono misurate le emissioni, e due pagine per tabelle e grafici che dettagliano le emissioni per i diversi ambiti, Scope 1-3”. Specifici impegni sulla limitazione delle emissioni, però, non sono indicati. “Inalca sottolinea di aver sottoscritto il commitment SBTi (Science Based Target initiative) per la costituzione di un target a breve termine e – scrive Greenpeace – secondo il database della SBT, l’azienda ha sottoscritto un impegno il 1 gennaio 2023 ma, al momento della stesura di questo rapporto, a 21 mesi dall’inizio di tale impegno, l’azienda non ha ancora registrato alcun obiettivo a breve termine presso la SBT”.
Lo scenario possibile per ridurre il riscaldamento – Modellando lo scenario business as usual della Fao per il futuro dell’alimentazione, il report mostra un riscaldamento aggiuntivo di 0,32°C entro il 2050 (rispetto al 2015) che deriverebbe dal settore della carne e dei latticini, con il metano responsabile di oltre il 75% di questo riscaldamento. “Trascurare un’azione tempestiva significherebbe aumentare le temperature medie globali di altri 0,16°C già nel 2030 a causa dell’espansione del settore di carne e latticini” scrive Greenpeace, ricordando le previsioni degli scienziati secondo cui ogni 0,3°C di riscaldamento evitati entro fine secolo potrebbe ridurre l’esposizione al caldo estremo per 410 milioni di persone. Secondo l’analisi dell’ong, ridurre le emissioni legate a carne e latticini in linea alla dieta EAT-Lancet Planetary Health porterebbe a un effetto raffreddamento della temperatura media globale di 0,12°C entro il 2050, cioè a una riduzione del 37% del riscaldamento aggiuntivo (rispetto allo status quo) previsto per la metà del secolo legato al settore, pari a 0,32°C. Finora, però, anche il Global Methane Pledge, lanciato nel 2021 alla Cop 26, si è concentrato solo sulla richiesta di ridurre le emissioni di metano nel settore dei combustibili fossili. “I governi devono guidare gli investimenti e le politiche per avviare il cambiamento – aggiunge Ferrario – abbandonando la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di carne e latticini, sostenendo gli agricoltori e i lavoratori del settore in una giusta transizione. E così facendo, salvando milioni di vite limitando il riscaldamento globale”.
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