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Violenze in cella sul trapper morto in carcere a Pavia. Condannato l’amico

/ PAVIA

Una condanna a 3 anni e un mese di carcere e un risarcimento di 20mila euro per avere messo in atto soprusi e pestaggi ai danni del compagno di cella. La sentenza della giudice Elena Stoppini, in linea con la richiesta della pm Valentina De Stefano, è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri e riguarda il trapper Gianmarco Fagà, conosciuto come Traffik: era accusato di maltrattamenti in carcere, a Torre del Gallo, nei confronti di Jordan Tinti, 26 anni, trapper noto come Jordan Jeffrey Baby, trovato morto lo scorso 12 marzo in cella. L’imputato, giovane di origine romane, era stato arrestato insieme a Jeffrey Baby per un’aggressione a scopo di rapina (anche se in appello l’accusa era stata riqualificata in violenza privata) a un operaio nigeriano a Carnate, ad agosto 2022. Entrambi i trapper erano finiti nello stesso carcere, a Pavia, nella stessa cella e qui, secondo l’accusa, Jeffrey Baby sarebbe stato vittima di maltrattamenti e vessazioni da parte dell’amico, di insulti e aggressioni fisiche, anche di notte.

«Siamo soddisfatti»

Nel processo era parte civile il padre di Jordan Tinti (ieri non era in aula alla lettura del verdetto ma ha seguito tutte le udienze del processo), con l’avvocato Federico Edoardo Pisani. «Siamo soddisfatti – dice il legale –. La sentenza ha dimostrato che i maltrattamenti ci sono stati. Ma è stato un processo difficile, perché diversi testimoni in aula hanno reso versioni diverse rispetto a quelle rese durante le indagini, a dimostrazione che sono stati intimiditi. Faremo le nostre valutazioni e mi auguro che le farà anche la procura».

Per l’avvocato difensore Giuseppe Rossodivita «la sentenza non sta in piedi perché la Cassazione esclude che possa essere contestata l’accusa di maltrattamenti in famiglia basata sulla convivenza tra detenuti, quindi attendiamo i 60 giorni di motivazioni ma faremo di sicuro appello». Le violenze in cella, secondo quanto ricostruito dal processo, erano state messe in pratica perché Tinti aveva deciso, dopo l’arresto per la presunta rapina a Carnate, di non dare una versione che fosse in linea con quella dell’imputato. «Quando Jordan finì in carcere mi disse che la vicenda era andata in maniera diversa e decise quindi di smarcarsi dall’amico – spiega il legale –. Ma questo cambio non incontrò il favore di Fagà».

Il clima che si respirava in cella quanto ha inciso sulla fragilità di Jordan Tinti? «Ha di certo inciso ma il ragazzo era molto fragile e quindi non c’è un collegamento diretto con la depressione di cui soffriva – risponde l’avvocato –. Comunque questo lo dirà l’indagine che è ancora in corso».

Indagine sulle morte

L’inchiesta a cui fa riferimento l’avvocato è quella relativa alla morte del trapper, che il 12 marzo fu trovato senza vita con un cappio al collo. Il 26enne era rientrato a Torre del Gallo una decina di giorni prima della sua morte, dopo una perentesi di alcuni mesi trascorsi in affidamento in una comunità terapeutica. Sotto indagine c’è la sorveglianza a cui il giovane (che aveva già dato segni di disagio) era sottoposto. C’è infine un terzo procedimento, ancora in corso, su una presunta violenza sessuale, che vede indagato un altro detenuto. La procura ha chiesto l’archiviazione ma il legale di Jordan Tinti si è opposto e si attende la decisione del giudice Luigi Riganti.

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