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Ho bisogno del mio «spazio»

Fu proprio lui, Neil Armstrong, «the first man», come lo chiamavano, a dire che l’impresa di andare sulla Luna avrebbe offerto a tutti una nuova dimensione di pensiero. Infatti siamo divenuti esseri spaziali e non più solo terrestri, benché in molti non se ne siano resi conto. E ciò non solo perché presto sul nostro satellite sorgeranno basi scientifiche, case, industrie e forse persino città. E nemmeno perché Elon Musk ha promesso che la sua compagnia aerospaziale SpaceX atterrerà su Marte entro qualche anno, o perché è iniziata l’era delle missioni private commerciali. Il fatto è che lo spazio extra-atmosferico è talmente integrato con la nostra vita quotidiana da caratterizzarla in ogni suo aspetto. Secondo The Union of concerned scientists, un’organizzazione no-profit americana, nelle orbite più vicine alla Terra ci sono 7.560 satelliti di cui 6.768 operativi e nei prossimi dieci anni se ne aggiungeranno circa mille all’anno.

Questi ci permettono di comunicare, orientarci, esplorare e fare ricerca. Per esempio, il progetto Starlink di SpaceX, che deve ancora completare la costruzione della sua costellazione di 12 mila satelliti miniaturizzati in orbita terrestre bassa, permette l’accesso a Internet a banda larga. E i circa 300 dedicati all’osservazione della Terra ci consentono le previsioni meteo e delle calamità naturali. L’Agenzia spaziale europea con Eumetsat ha recentemente messo in orbita il satellite di terza generazione
MTG-I1, uno dei più avanzati sistemi di osservazione del pianeta mai realizzato, che con una risoluzione di 4,5 chilometri fornisce informazioni sui temporali riuscendo a prevedere catastrofi con due o tre ore di anticipo.

Come non ricordare poi il Sistema satellitare internazionale COSPAS-SARSAT che fornisce i dati localizzare vettori in pericolo: segnala naufragi di migranti, navi commerciali o imbarcazioni sportive nelle gare di altura. Chi vuole avere un’idea di quanto il cosmo sia pervasivo nella nostra vita, e delle tappe di questa storia, potrà trovare una guida semplice e chiara nel nuovo libro Geopolitica dello Spazio (Il Saggiatore) del divulgatore scientifico Emilio Cozzi, coautore e conduttore del programma Countdown - Dallo Spazio alla Terra, in onda su Sky Tg24.

Dalle prime missioni degli anni Sessanta ai lanci dei razzi Falcon 9 di SpaceX, attraverso il racconto dei diversi progetti Nasa, del rinnovato interesse per le missioni lunari e degli albori del turismo in orbita, il saggio di Cozzi spiega la nuova economia e geopolitica extraterrestri. «Ho in mente un esempio eclatante di come le nostre vite sono plasmate dalle tecnologie spaziali» dice Cozzi a Panorama. «Quando fu lanciato nel 1990, il telescopio Hubble rivelò un microscopico difetto di fabbricazione del suo specchio primario, levigato due millesimi di millimetro di troppo. In attesa che venisse riparato da cinque missioni dello Space Shuttle bisognava tentare di ricavare il massimo dalle sue foto sfuocate, migliorandone la gamma dinamica e la risoluzione. Le tecniche di processamento dell’immagine inventate allo scopo si sarebbero rivelate efficaci anche nelle mammografie, per riconoscere i primi segni della comparsa del tumore al seno. Ecco, lo spazio è integrato perfino con la medicina».

Enrico Flamini, professore di Solar System Exploration all’Università di Chieti-Pescara, osserva inoltre che «l’esigenza di estrarre minerali preziosi sarà sempre più impellente. Non sto parlando di metalli come l’oro, abbastanza comune in tutta la crosta terrestre, ma di elementi chimici che si potranno esaurire sul nostro pianeta e di cui abbiamo estremo bisogno. Penso alle “terre rare”, essenziali per tutta l’elettronica avanzata, oppure all’elio-3, isotopo raro sulla Terra, ma diffuso sulla Luna, utilizzabile nei reattori a fusione nucleare».

Eppure, al di là di questi sviluppi impressionanti e un tempo impensabili, si nasconde un enorme problema irrisolto: quali leggi regolano lo spazio extra-atmosferico? Quali organi sono preposti a scongiurare incidenti e conflitti tra le nazioni? A chi appartiene una porzione di Luna? Di chi sono le risorse disponibili su un asteroide? E chi può sfruttarle?

Dilemmi più che mai attuali, come dimostrano alcuni esempi. Il 2 settembre 2019 l’Esa fu costretta a spostare con una manovra d’emergenza il satellite Aeolus per evitare una collisione con uno degli Starlink di SpaceX. «Il problema» sottolinea Cozzi «è che non ci sono enti sovranazionali deputati a regolare il traffico in orbita e nemmeno un elenco di contatti per comunicare in caso di emergenza. Satelliti come quelli della costellazione Starlink, ha ribadito più volte Musk, hanno un sistema automatico per evitare collisioni». Ma non per ogni apparato orbitante vale lo stesso, anzi. «Molti satelliti ancora operativi, in particolare i relitti, i frammenti di razzo e le sonde in disuso, sono come iceberg alla deriva pronti ad affondare qualsiasi vascello».

Un altro caso riguarda la creazione di basi sulla Luna: c’è la possibilità concreta di produrre energia con reattori nucleari grazie ai progetti in corso della Nasa e dell’ASI-Enea. Quali leggi regoleranno la scelta e la gestione dei siti di costruzione? Qui fa sorridere ricordare che quando Apollo 11 atterrò sul satellite, il proprietario di un pub inglese, Charlie Mertz, decise di denunciare Neil Armstrong ed Edwin Aldrin per aver messo piede in un pezzo «di sua proprietà». A suo dire, infatti, lui possedeva quel lotto lunare dal 1957, avendolo acquistato dall’Interplanetary development corporation di New York. Eppure la giurisprudenza interplanetaria è ancora ai suoi albori. Negli anni Sessanta, circa un decennio dopo il lancio del primo satellite artificiale Sputnik 1 da parte della Russia, ha visto la luce l’Outer Space Treaty: un trattato sullo spazio firmato finora da 112 nazioni sotto gli auspici dell’Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite. Gli articoli che lo compongono sono però più linee guida che leggi vincolanti e forniscono solo risposte parziali alle domande formulate. «L’Outer Space Treaty lascia irrisolte gran parte delle questioni che diverranno cruciali man mano che colonizzeremo il Sistema solare» afferma Flamini. «È di fatto una raccolta di linee guida che non tutti gli Stati hanno sottoscritto. Ecco perché la comunità internazionale è chiamata a stabilire una serie di regole per tutti i Paesi».

Nell’appendice del suo libro, Cozzi pubblica il parere di una specialista in materia, Agostina Latino, docente di Diritto internazionale e Tutela dei diritti umani, e di Diritto delle migrazioni presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Camerino: «L’ultimo accordo è il Trattato sulle attività degli Stati sulla Luna e sugli altri Corpi celesti, entrato in vigore l’11 luglio 1984, che stabilisce il divieto di ogni uso militare dei corpi celesti, patrimonio comune dell’umanità». Da questo principio derivano in capo alle parti obblighi negativi e positivi. «Negativi, come i divieti di effettuare esplorazioni o usare corpi celesti senza l’approvazione o il benestare di tutti gli altri Stati, di alterarne l’ambiente, di dichiarare la sovranità esclusiva su qualsiasi territorio dei corpi celesti; e positivi, come il dovere di adottare misure idonee a evitare contaminazioni accidentali dell’ambiente spaziale» aggiunge Latino.

D’altra parte, la normativa statunitense è stata d’ispirazione per i Paesi che hanno promulgato una legge che riconosce alle società lo sfruttamento delle risorse nello spazio, come i minerali sugli asteroidi. «Gli Emirati Arabi Uniti, con una legge nazionale del 2019, hanno sancito il diritto delle società private a sfruttare le risorse del cosmo quali acqua, alluminio, cobalto, ferro e manganese; e il Giappone ha adottato una legislazione nazionale in virtù della quale sono definite sfruttabili, da parte di privati, fonti di energia come elio‑3, acqua, ossigeno, gas inerti, metalli e minerali». Il problema è che queste normative nazionali sono contestate da altri Stati, tra cui il Belgio e la Federazione russa. «Servirebbe una nuova convenzione internazionale sul diritto spaziale» conclude Latino. «Se si creasse un tribunale competente in tema di liti cosmiche, e se gli Stati accettassero di sottoporvi le proprie controversie, avremmo la possibilità del ricorso unilaterale, come accade nel diritto interno, che contempla il giudice naturale. A quel punto non ci sarebbe necessità di trovare un accordo su chi e su quali regole si possa dirimere la controversia; ciascuna parte in lite potrebbe, unilateralmente, andare a bussare alla porta di una siffatta corte» conclude Cozzi. Siamo però lontani da tutto ciò. Basti pensare che la Nato ha indicato lo Spazio come uno dei domini strategico‑operativi. In caso di attacchi spaziali, attiverebbe la clausola di difesa collettiva prevista nell’articolo 5 della Carta Atlantica. Stiamo proiettando sull’universo le tensioni geopolitiche terrestri. Insomma, noi stessi.

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