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Se il clima finisce in bancarotta

Non se, ma quando: a chi toccherà domani? L’apocalisse di Valencia è solo l’ennesimo avvertimento, e tra i più drammatici, che una natura sotto assedio manda all’intero pianeta; ma noi colpevolmente continuiamo a ignorarlo.

Non da mesi, ma da anni: l’ultimo rapporto Onu su cambiamenti climatici e calamità naturali segnala dal 2013 una media di 400 eventi l’anno, destinati a superare i 500 nel 2030; un milione 200 mila vittime; quattro miliardi di persone colpite; un costo di tremila miliardi di dollari. Con un’annotazione esplicita: «Il cambiamento climatico ha un’impronta enorme sul numero dei disastri».

Se le aree più a rischio sono quelle dell’Africa e dell’America centro-meridionale, l’avanzata Europa è tutt’altro che al riparo, come indica proprio il cataclisma spagnolo di questi drammatici giorni. Uno studio della Ue spiega che nel solo 2022 le calamità naturali hanno causato danni per 52 miliardi di euro, 41 dei quali (quasi l’80 per cento) imputabili a fenomeni legati al clima.

È una cifra che sale a 650 miliardi di euro se riferita agli ultimi quarant’anni, con un costo pro capite che vede in testa la Slovenia con 3.500 euro, e l’Italia al quinto posto assieme alla Spagna per 1.900 euro. Ma nella graduatoria dei 27 Paesi Ue, siamo primi per l’ammontare dei danni economici complessivi: 50 miliardi di euro tra il 2013 e il 2022. Un autentico salasso.

Gli annuali rapporti dell’Ispra, l’istituto del ministero dell’Ambiente, denunciano senza possibilità di equivoci il costante degrado del territorio, in un contesto già compromesso di suo: sette milioni di italiani vivono in aree soggette ad alluvioni, e duemila edifici sorgono in zone a elevato rischio idrogeologico.

In testa alla classifica delle regioni più compromesse, assieme a Emilia Romagna (quarta calamità in queste settimane nel giro di un anno e mezzo, 18 vittime, danni superiori ai 10 miliardi di euro) e Lombardia, figura il Nord Est, Veneto in testa. Una regione che ormai da anni, sempre secondo i dati Ispra, è la seconda in Italia per consumo di suolo dietro alla Lombardia; e che continua a perseverare, come ha appena denunciato non un gruppetto di estremisti, ma l’associazione veneta dei costruttori edili. Aggiungendo che più di metà della regione è soggetta a inondazioni.

Malgrado l’evidenza impietosa delle cifre, l’Italia si limita all’aria fritta delle dichiarazioni al vento e degli annunci regolarmente disattesi. Per fronteggiare il rischio idrogeologico servirebbero interventi per 26 miliardi, segnala la Corte dei Conti. Nei fatti, per la tutela del territorio, gli investimenti pubblici sono fermi da anni, quindi di fatto in calo per via dell’inflazione: erano 11,1 miliardi nel 2003, sono stati 11,2 miliardi nel 2022.

E mentre alla prevenzione si riservano le briciole, continuano a lievitare i costi per riparare i danni: i dati della Sima, la Società di medicina ambientale, li quantificano in 360 miliardi di euro dal secondo dopoguerra a oggi.

Ma neppure l’implacabile evidenza dei numeri basta a invertire un trend che continua a presentare un salatissimo conto, e non solo all’Italia: come nella tragedia di questi giorni a Valencia.

Se il clima fosse una banca, i Paesi ricchi l’avrebbero già salvato, ha suggerito qualche anno fa l’allora presidente venezuelano Hugo Chavez. Ma siccome non lo è, stiamo lasciando colpevolmente che finisca in bancarotta.

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