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Il racconto:  «Il mio viaggio a Valencia tra monumenti chiusi e supermercati vuoti»

VALENCIA. «Allora, venite a trovarmi?». Come non accogliere con favore l’invito di un figlio, da qualche mese a Valencia, “la città dove non piove mai”, per scappare da un piovoso autunno canavesano e godersi qualche giorno di estate spagnola? Detto e fatto: prenotati il volo e la camera nella città spagnola, con un pizzico di disappunto per le previsioni meteo che promettevano quattro giorni di pioggerellina, pioggia e cielo coperto con al massimo “parziali schiarite” nelle date fissate per il viaggio. A Valencia, in effetti ci accoglie un cielo cupo, ma la speranza è che le previsioni possano essere imprecise e il sole torni a fare capolino, per riportare le temperature sui 25 gradi che erano la norma fino a qualche giorno prima, quando su Ivrea pioveva e il cambio stagione dell’armadio era ormai completato. Nulla, proprio nulla, lasciava presagire cosa sarebbe successo.

Le prime avvisaglie arrivano dal gracchiare dei cellulari che annunciano l’alert della Protezione civile italiana: il sistema funziona bene, riconosce che siamo in viaggio e ci avvisa che “Por las fuerte lluvias y como medida preventiva se debe evitar cualquier tipo de deplazamento ne la procìvincia del Valencia” (A causa delle forti piogge e a titolo preventivo, è opportuno evitare qualsiasi tipo di spostamento nella provincia di Valencia).

È vero, piove, ma l’invito pare eccessivo, almeno fino a quando su WhatsApp iniziano ad arrivare i messaggi intrisi di apprensione e ansia di amici e colleghi che dall’Italia ci chiedono come stiamo, se tutto sia a posto. È quindi soprattutto la curiosità a spingerci a consultare i notiziari on line e lì scopriamo che, per quanto il centro di Valencia sia immune da danni, attorno si è scatenato l’inferno. Il numero delle vittime aumenta di consultazione in consultazione: dapprima dieci, poi venti, poi le decine si susseguono. E sembra impossibile che tutto questo stia accadendo a cinque-dieci chilometri da dove siamo.

La città vecchia è salva grazie alla lungimiranza di chi, dopo l’alluvione del 1957 (che causò 81 vittime), decise di deviare il corso del fiume Túria che attraversava la città, per farlo scorrere all’esterno del concentrico urbano, portandolo dove un’eventuale piena avrebbe fatto meno danni. Purtroppo il piano non fu completato: era infatti previsa la realizzazione di un grande bacino capace di contenere ben 164 milioni di metri cubici di acqua, rimasta però sulla carta perché i fondi destinati all’opera vennero destinati dal dittatore Franco verso le spese militari da sostenere per finanziare la guerra di Ifni, combattuta nel Sahara dall’esercito spagnolo contro le truppe di liberazione marocchine.

Lo scopo di quest’opera ciclopica ha comunque salvato il centro di Valencia, dove nei giorni del recente dramma era possibile passeggiare nel grande parco ricavato dal vecchio letto del fiume, ma con la consapevolezza di essere in un enclave di sicurezza circondato dalla devastazione. Pochi, in città, i segnali di cosa stesse succedendo attorno: le scuole, alcuni parchi e monumenti chiusi “in via precauzionale”, le scorte di acqua minerale e di frutta e verdura esaurite nei supermercati, gli elicotteri che volteggiano senza sosta. E le bandiere a mezz’asta sugli edifici pubblici, a ricordare che la morte è tornata a visitare la provincia, mietendo molte più vittime rispetto al 1957. Vittime che probabilmente oggi non verrebbero piante se fosse stato realizzato quel bacino.

Solo al momento di ripartire i nostri occhi hanno potuto constatare ciò che per quattro giorni ci era stato riportato dai notiziari: veicoli coperti di fango abbandonati lungo la strada che conduce all’aeroporto, persone e mezzi incrostati dalla mota rossastra che l’impeto delle acque ha portato fuori dagli alvei dei fiumi. E dall’alto, dopo il decollo del volo diretto a Caselle, ecco le scene apocalittiche finora viste solo in foto e in video: le automobili accatastate in una strada, la devastazione di intere aree, il fango che invade la (solitamente affascinante) laguna di Albufera e che si spinge al largo colorando di marrone decine di metri di mare, dalla spiaggia verso il largo. E, all’atterraggio, sembra beffardo il sole che ci accoglie, quel sole che ci aspettavamo di trovare a Valencia, “la città dove non piove mai”, la città nella quale abbiamo lasciato un brandello di cuore. Federico Bona

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