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Crisi demografica e spopolamento: il governo punta sul rilancio delle aree interne

“Nelle aree interne la crisi demografica corre a velocità doppia rispetto al trend nazionale. Dal Comune più piccolo (Morterone, 34 abitanti al 1° gennaio 2024) a quello più popoloso (Gela, 70.811 abitanti, in provincia di Caltanissetta), i territori interni segnano una perdita di residenti del 5% sul 2014, contro il 2,2% della media nazionale”. Lo ha reso noto il Sole 24 Ore nella sua tradizionale inchiesta statistica collegata alla demografia nazionale. Le unioni tra Comuni, gli incentivi e i piani di rilancio si si sono rivelati finora poco incisivi. Il problema è che nelle aree interne si trova il 48% dei Comuni italiani, dove vivono 13,6 milioni di persone (poco meno di un quarto della popolazione italiana).

Su un totale di 3.834 Comuni, 382 sono quelli meno serviti per il tempo medio di percorrenza per raggiungere i servizi essenziali legati a salute, istruzione e mobilità, che risulta superiore ai 65 minuti. Più nello specifico, tra questi 42 si collocano in provincia di Salerno, 38 in provincia di Nuoro e altrettanti in provincia di Potenza. Altri 28 rispettivamente sia a Bolzano sia a Brescia e 22 in provincia di Chieti e così via. Non a caso in queste aree la crisi demografica colpisce duramente, con un calo delle nascite del 36,1% ed un tasso di natalità sotto la media nazionale. L’emigrazione all’estero dalle aree interne risulta più elevata della media: 2,3 espatri ogni mille abitanti, contro l’1,8% a livello nazionale.

La carenza o la distanza dai servizi è alla base della migrazione interna o dell’emigrazione all’estero degli italiani, non a caso i comuni in declino demografico sono più nelle aree interne nel Sud (oltre due terzi) rispetto al Centro-nord (oltre un terzo) del Paese. L’Istat rileva che è in partenza dalle aree interne del Mezzogiorno quasi la metà dei flussi migratori nazionali verso i Centri, così come gli espatri, in aumento soprattutto dalle aree interne. Il combinato disposto di queste condizioni porta a prevedere che tra vent’anni l’80% dei comuni delle aree interne sarà in declino. Pur non mancando gli interventi straordinari finalizzati a contrastare lo spopolamento e il declino demografico, come la “Strategia nazionale per il rilancio delle aree interne” (Snai), che in dieci anni hanno finanziato, con 496,9 milioni di euro (stanziati), 2.148 progetti, di questi, solo il 17% sono stati conclusi e il 5% dei liquidati. Mentre il 59% è ancora in corso e il 20% – quindi uno su cinque – non vedrà mai la luce.

Anche per questo il Governo Meloni ha avviato una consultazione pubblica avente l’obiettivo di raccogliere opinioni e suggerimenti utili alla definizione del documento programmatico, denominato “Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle aree interne”, avente lo scopo di imprimere unitarietà e coerenza politica alla strategia nazionale per lo sviluppo dei territori interni, garantendo la massima sinergia tra le risorse nazionali ed europee che confluiscono in quelle aree, in raccordo con le normative e le programmazioni di settore di ciascun Dicastero.

In sintesi: promuovere “il coordinamento tra i diversi livelli di governo, gli enti pubblici nazionali e territoriali e ogni altro soggetto pubblico e privato competente, anche fornendo misure di accompagnamento ai soggetti attuatori per la risoluzione di eventuali criticità”. Il problema dello spopolamento delle aree interne non è certamente di facile risoluzione. Alla prova dei fatti le risorse sono un fattore importante, ma non esclusivo. Né si tratta solo di conservare l’esistente e di valorizzarlo. Di fronte all’invecchiamento delle popolazioni interessate occorre intervenire per dinamicizzare la realtà sociale, favorire il ricambio generazionale, dare spazio alla creatività, sostenere le comunità locali ed estenderne il valore, trasformandole in realtà “attrattive” dal punto di vista produttivo.

Si tratta di un’opera lunga e complessa, che richiede volontà, risorse ed anche molta “fantasia”. Un utile esempio – in questa direzione – può venire da quelle che nelle aree montane degli Stati Uniti si chiamano Foreign Trade Zones, le quali offrono notevoli vantaggi agli esportatori che decidano di utilizzarli. Tra i principali vantaggi: i prodotti possono essere introdotti ed immagazzinati senza dovere pagare dazi fino all’immissione in commercio; le lavorazioni effettuate sui prodotti all’interno dell’area extradoganale non sono soggette a tassazione; le merci che vengono riesportate non sono soggette a tassazione; non ci sono limiti di tempo per la permanenza delle merci immagazzinate all’interno delle Foreign Trade Zones. Le normative nazionali debbono però integrarsi con le specifiche realtà locali, mettendo a sistema una serie di misure finalizzate a promuovere il reinserimento abitativo nelle vallate, attraverso interventi di rigenerazione urbana, investimenti sull’edilizia scolastica, adeguamenti, in ambito sanitario, dei poliambulatori, riassetto e manutenzione delle aree interne dei parchi, valorizzazione dell’agricoltura e dei prodotti certificati, una strategia turistica differenziata finalizzata ad aumentare i flussi dalla costa all’interno, uno sviluppo delle aree dedicate allo sport.

Altra possibilità quella della cosiddetta “adozione a distanza dei borghi”, che si inserisce nel “Turismo delle radici”, identificabile con gli arrivi turistici generati dal ritorno degli emigrati dal luogo dove oggi risiedono, al borgo di origine. Sono moltissimi gli emigrati italiani, sparsi per il mondo, interessati a comprare un “pezzetto” d’Italia, segno di memoria e di affetto nei confronti del Paese d’origine. Da qui l’idea di metterli in condizione di investire nel borgo, creando dei piccoli consorzi a distanza, che abbiano come scopo il recupero del borgo, a cui l’emigrato può aderire. Volontà nazionale, integrazione tra i singoli territori, riscoperta di memorie e di radici: in questo mix l’affascinante impegno del ripensamento-cambiamento può diventare un obiettivo concreto e vincente per tutta l’Italia. A partire proprio dalle piccole realtà territoriali. Per farsi progetto identitario di portata nazionale e risposta allo spopolamento e alla crisi demografica. Per giocare la partita di un riscatto nazionale a misura delle nostre tradizioni e delle aspettative che vengono dai territori.

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