Uccide un uomo che sta bevendo al bar a Venezia: eviterà l’ergastolo
Si svolgerà il 27 gennaio, con rito abbreviato - e quindi con il riconoscimento di una riduzione di un terzo della pena - il processo per omicidio volontario a carico Raffaele Marconi, il trasportatore 34enne veneziano che in una notte di novembre di un anno fa ha ucciso con un colpo di fucile a canne mozze il 25enne tunisino Kalil Mallat, mentre stava bevendo una bibita al bancone di un piccolo bar al ponte delle Guglie, in compagnia di un amico.
Un delitto tra il via vai di persone che, anche la sera, anima la zona dove è avvenuto il delitto. Un omicidio a freddo, ma non premeditato, secondo la Procura: l’accusa non è così stata aggravata da contestazioni che prevedono una pena che può arrivare all’ergastolo e questo ha permesso agli avvocati difensori Renato Alberini e Sara Rinaldin di chiedere, appunto, il rito abbreviato ed evitare a Marconi un processo davanti alla Corte d’Assise.
Resta anche l’accusa di porto d’arma: un fucile a canne mozze con la matricola abrasa, il cui possesso Marconi non ha mai voluto spiegare.
Martedì 19 novembre, la giudice per le udienze preliminari Benedetta Vitolo ha accolto la richiesta di rito e aggiornato per l’udienza di merito al 27 gennaio, appunto: processo che Marconi continuerà ad attendere in carcere, agli arresti a Santa Maria Maggiore. L’uomo è chiamato a rispondere anche di tentato omicidio: secondo la ricostruzione della Procura, dopo aver sparato a Mallat, uccidendolo sul colpo, Marconi avrebbe rivolto il fucile contro l’amico della vittima, che si sarebbe salvato solo grazie al provvidenziale inceppamento dell’arma. L’uomo si è così costituito parte civile, come la compagna della vittima (anche per conto del bambino nato pochi giorni prima della tragedia) e due fratelli di Kalil Mallat, tutti rappresentati dagli avvocati Giorgio e Luca Pietramala.
Il movente del delitto ha, per ora, una sola voce: quella dell’omicida stesso, che nel corso di un interrogatorio richiesto dalla difesa ha raccontato questa estate al pubblico ministero che indagava sul caso: l’omicidio sarebbe nato da una lite scoppiata per futili motivi - pesanti apprezzamenti sulla moglie - finita con il ferimento di Marconi, che aveva poi preso la via di casa, aperto l’armadio dove deteneva il fucile e, tornato sui suoi passi, cercato Mallat, uccidendolo sul colpo. Nega invece di aver voluto colpire anche il secondo uomo.
«Su questo punto Marconi si è difeso con fermezza, negando categoricamente di aver mai avuto l’intenzione di sparare a questa seconda persona o che si sia inceppata l’arma», spiega l’avvocato Alberini, «per quanto riguarda la vicenda principale ha reagito a una precedente aggressione da parte dei due, ovviamente riconosce la sproporzione di quello che è successo, non sa neppure dire se voleva uccidere. Ma nega caparbiamente di aver cercato di uccidere la seconda persona. Ha espresso parole di rammarico sentite nei confronti della vittima, in particolare dei figli, e rammarico per aver rovinato oltre alla famiglia della vittima, ma anche la propria». Parola alla giudice.