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Cosa dice l’emendamento di Forza Italia “contro” la Digital Service Tax

Il testo della legge di Bilancio al vaglio del Parlamento è stato depositato circa un mese fa. Meno di 30 giorni che hanno portato a ben 4.500 proposte di emendamenti per modificare quanto disposto dal governo. Un numero che può sembrare elevatissimo, ma in linea con quanto accaduto negli ultimi dieci anni. Tra le proposte (che ora sono al vaglio della Commissione Bilancio della Camera dei deputati) di modifica della cosiddetta “Finanziaria”, c’è un emendamento proposto da Forza Italia (e da nessun altro partito della maggioranza) che vuole modificare le modifiche (perdonate il gioco di parole) alla web tax previste – almeno fino ad ora – dall’esecutivo.

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Piccolo ripasso delle puntate precedenti. Il testo bollinato – ovvero quello consegnato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – parla di modifiche alla Web Tax (in realtà, il nome corretto è Digital Service Tax) sostanziali, ampliando il raggio di azione dell’imposta sui servizi digitali, abbattendo i limiti previsti (dal 2019) sui ricavi delle aziende.

Dunque, se questo articolo non venisse modificato, sarebbe applicata l’aliquota del 3% sui ricavi (e non sugli utili) a tutte le aziende che offrono servizi digitali in Italia. Dunque, non solo le Big Tech, ma anche le PMI e – per esempio – i giornali online.

Emendamento Web Tax, la proposta di Forza Italia

Cosa prevede, invece, l’emendamento Web Tax proposto da Forza Italia e ora al vaglio della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Il partito di Antonio Tajani – soprattutto su spinta del capogruppo di Forza Italia al Senato – chiede (praticamente) di mantenere lo status quo, senza andare a colpire le PMI e il settore dell’editoria audio-visiva e telematica. Infatti, si chiede che siano esenti da questa imposta:

«La concessionaria del servizio pubblico, i fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici e i concessionari radiofonici soggetti alla giurisdizione italiana e gli editori di testate giornalistiche online registrate presso il Tribunale di competenza». 

Dunque: non la Rai, non Mediaset e le altre emittenti, non le radio e non le testate giornalistiche telematiche (quelle registrate presso il Tribunale). Dunque, un enorme cambiamento rispetto a quanto definito – finora – dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

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