Quando le popstar si mettono in pausa
«My tank is empty»: quattro parole che significano il mio serbatoio è vuoto per dire che è venuto il momento di staccare. Le ha pronunciate Adele a Monaco di Baviera aggiungendo un dettaglio rilevante: «Non canto più nemmeno a casa mia quando sono sola con me stessa, e questo è molto strano…». È l’annuncio ufficiale del burnout. «La mia vita non è la mia carriera» aveva dichiarato qualche tempo fa la popstar più popolare del mondo (dal 2008 ad oggi ha venduto 170 milioni di dischi) prima di lanciarsi in una residency di due anni a Las Vegas. L’ultimo miglio prima di dire basta: niente dischi e niente concerti a tempo indeterminato.
È il costo della fama, la presa d’atto che gli stadi sold out e i dischi di platino non anestetizzano il fattore umano e non preservano la sanità mentale. Lo dice la storia del re del rock and roll, Elvis Presley, che negli ultimi anni di vita aveva sviluppato in rapida sequenza fobie e ossessioni di ogni tipo: ingeriva farmaci e psicofarmaci per dormire, per annebbiarsi e non pensare. Intorno, il vuoto, nessuna empatia, nessuno che gli dicesse “ora fermati”. Il viso stravolto e il fisico devastato dai chili di troppo erano fattori invisibili: per tutti lui era e rimaneva una meravigliosa icona, una straordinaria macchina da dollari, l’uomo simbolo dell’entertainment a stelle e strisce. È morto a 42 anni, accasciato nel bagno della sua villa da favola a Graceland.
Proprio perché dietro la star c’è la persona, non tutte storie di fama sono uguali. Rihanna, preso atto dell'impossibilità di essere mamma e superstar allo stesso tempo ha scelto per il momento di occuparsi dei figli. Tra quelli capaci di staccare senza traumi c’è poi il frontman dei Radiohead, Thom Yorke, che continua a fare musica scrivendo colonne sonore e andando in giro per il mondo con un altro progetto, The Smile, mentre il gruppo che gli ha regalato la fama è discograficamente in stand by dal 2016. A chi gli chiede del ritorno dei Radiohead, risponde laconicamente «Non me ne frega niente delle aspettative degli altri. Mi sento libero di fare quel che desidero». Punto. Ma il vero maestro nell’arte di mettersi in pausa e godersi la vita è Peter Gabriel: alla fine dell’anno scorso ha pubblicato un album (i/o) dopo 21 anni di silenzio ed è andato in tour con la stessa gioia e la stessa energia di due decenni prima. Geniale.
Il bisogno di fermarsi, è bene sottolinearlo, non è una prerogativa degli artisti che hanno alle spalle una lunga storia: lo scorso febbraio, dopo la partecipazione al festival di Sanremo Sangiovanni, 21 anni, ha scritto su Instagram: «Non riesco più a fingere che vada tutto bene e che sia felice di quel che sto facendo…Voglio precisare che non sto mollando, credo tanto nella mia musica e in questo progetto, ma allo stesso tempo non ho le energie fisiche e mentali per portarlo avanti». Nei giorni scorsi Angelina Mango dopo il posticipo di alcune date per problemi di voci ha annunciato: «Devo fermarmi perché voglio prendermi cura di me mettendo la salute al primo posto».
Essere una popstar non è facile nel nuovo millennio: ricordiamo tutti il crollo nervoso di Britney Spears, quando nel 2007 venne immortalata mentre si rasava i capelli a zero prima di prendere a ombrellate la macchina di un paparazzo. Fu un allarme rosso, l’inizio di qualcosa a cui nessuna giovane celebrità della musica è riuscita poi a sottrarsi. Per tante ragioni, ma quella più evidente oggi è la costante preoccupazione di trasformare la vita quotidiana in contenuti con cui inondare i social.
Senza contare i meet and greet con i fan, le comparsate sui red carpet di tutto il mondo, i mille cuoricini e like da sparpagliare per la rete. Per quelli che poi non appartengono all’olimpo ristretto delle music star c’è un’altra incombenza: sfornare canzoni getto continuo, spesso qualitativamente pessime, per dimostrare semplicemente di esistere, di essere “in the game”, per accumulare clic sulle piattaforme streaming. Ossessioni che mandano letteralmente in tilt e che prima poi fanno scattare l’esigenza di disconnettersi da Instagram e dallo show business, di riaffermare la distanza tra la persona e la celebrity. È successo ad Ariana Grande, a Selena Gomez, Billie Eilish e Justin Bieber. Tutti ad annunciare il bisogno di una pausa, un mantra gestito sempre via social, un’ammissione di debolezza che non intacca minimamente la carriera e il personaggio, anzi ne rafforza il fascino. Sempre via social, naturalmente. È il cortocircuito perfetto di questo tempo in cui si annuncia anche la rinuncia.
E, allora, sembrano fantascienza gli anni in cui una star se voleva concedersi un break spariva nel nulla e basta: come fece David Bowie nel 1973 quando, alla fine di un tour in Giappone, si regalò un “secret trip” da Vladivostok a Mosca sui vagoni in della leggendaria Transiberiana. Un viaggio in novantuno fermate lungo la ferrovia più lunga del mondo, novemila chilometri, tra carrozze in legno e pareti di velluto. Un tuffo nell’altro mondo per capire, per guardare da vicino come si viveva nelle zone sperdute dietro la cortina di ferro, ma anche per rendersi invisibile. Per essere una persona in mezzo ad altre persone che conducevano una vita distante anni luce dalla sua. Senza annunci, senza Instagram ed emoji. Con la testa e i piedi nella realtà.