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Warren Buffet, aspettando i miliardi dell'oracolo

Il Donald Trump che planerà nuovamente sulla Casa Bianca il 20 gennaio sarà il sedicesimo presidente degli Stati Uniti con il quale Warren Buffett ha guadagnato. Il finanziere di Omaha, Nebraska, che il 30 agosto scorso ha compiuto 94 anni, la notte dell’elezione, tra il 5 e il 6 novembre, ha guadagnato 7,6 miliardi di dollari, il 6,3 per cento sulla propria massa investita. Una cifra che corrisponde agli utili di Intesa Sanpaolo nell’intero 2023. Speculazione? Si fa presto a dire una stupidaggine del genere, quando dall’altra parte c’è un mostro sacro della finanza, un investitore paziente capace di puntare anche per mezzo secolo su una singola azienda, dopo averla studiata per anni e dopo aver analizzato con scrupolo il modo di ragionare (quando ragionano) dei consumatori ai quali si rivolge. Perché come ha spiegato anche a maggio, all’ultima assemblea dei soci della sua Berkshire Hathaway, «l’Oracolo di Omaha» non tenta di prevedere l’andamento dei mercati, ma di capire che cosa passa nella testa delle persone che li compongono. Insomma, un finanziere che non fa sconti su interessi, dividendi e risultati, ma anche psicologo con la curiosità di un bambino.

Milioni di investitori tentano di capire che cosa pensi Buffett di Trump. E hanno anche una certa fretta. Ma il problema è che Buffett non ne ha mai e questo è il primo insegnamento.Ha cominciato a comprare azioni a 14 anni, quando al timone dell’America c’era Franklin Delano Roosvelt e non ha più smesso. Nel corso di quest’anno, ha venduto in blocco una montagna di azioni di Apple e Bank of America, due suoi storici cavalli di battaglia, e ora ha 325 miliardi di dollari pronti per nuovi investimenti, nei quali vanno contati 288 miliardi di dollari in titoli di Stato Usa, ben 90 in più della stessa Federal Reserve. E qui c’è il primo indizio: se Buffett credesse alla propaganda democratica contro l’inquilino della Casa Bianca, ovvero che porterà il debito fuori controllo e che l’inflazione salirà, difficilmente avrebbe così tanti T bond in portafoglio. Il tema non è se Buffett creda o meno in Trump o nello Stato. Il tema è che Buffett, con tutti quei T Bond, è un pezzo dello Stato. Nell’ultimo anno le azioni Berkshire hanno guadagnato il 25 per cento, con il valore della holding di investimenti che a fine agosto, a Wall Street, ha sfondato per la prima volta i mille miliardi di dollari. Buffett è attualmente la sesta persona più ricca al mondo, con un patrimonio personale di 133 miliardi di dollari che ha promesso di regalare a cause filantropiche. E oggi gli asset della sua creatura finanziaria hanno superato i tremila miliardi di dollari. Che cosa ne farà nella Seconda era Trump, anche lui un discreto possidente, con sei miliardi di dollari di patrimonio?I due non si piacciono neanche un po’, anche se ultimamente si guardano bene dal dirlo. Lo scorso 29 ottobre, il finanziere del Nebraska ha smentito qualunque appoggio a Trump o Harris, irritato per la montagna di truffe che girava su Internet e che utilizzavano il suo nome per spingere singoli investimenti. «Mr. Buffett does not currently and will not prospectively endorse investment products or endorse and support political candidates», diceva il suo comunicato in un inglese comprensibile in tutto il mondo. «Attualmente» è vero. In passato, però, Buffett ha appoggiato le campagne di Hillary Clinton (2016) e Barak Obama (2008 e 2012). E nel 2016, ai tempi della prima corsa di Trump per la Casa Bianca, polemizzò pubblicamente con lui per non aver svelato quante tasse pagava, oltre ad accusarlo di ingannare gli americani con false promesse. Trump gli restituì il colpo, sempre nel 2016, sostenendo in tv che aveva approfittato di «ingenti sgravi fiscali».

I due anziani miliardari, sulle tasse, la pensano in modo opposto. A fine maggio, all’assemblea di Berkshire, Buffett ha riassunto il suo pensiero: «Quasi tutti quelli che conosco fanno molta attenzione a non pagare tasse, e penso che invece dovrebbero; a noi non dispiace pagare le tasse a Berkshire, e stiamo pagando un’aliquota federale del 21 per cento sui guadagni che stiamo ottenendo da Apple. Quell’aliquota era del 35 per cento non molto tempo fa, ed è stata del 52 per cento in un passato in cui ho operato». Per lui, il governo federale avrebbe pienamente diritto di alzare le tasse. Trump invece le abbasserebbe domani. Come metterebbe subito dazi pesanti con la Cina, dove Buffett ha sempre investito con profitto, senza dimenticare però una nazione profondamente diversa e «slow» come il Giappone. Perché a lui piace studiare un’azienda o un Paese, capirne il potenziale, tenere in portafoglio il titolo anche per decenni, proprio come ha fatto con Apple, BofA e una serie di placide società assicurative. Ora, tutti si aspettano che Trump freni sulla transizione ecologica e che quindi anche Buffett smetta di investire sul green e punti sul petrolio, a discapito di settori come utility e automotive. E tutti guardano con trepidazione a quei 325 miliardi di liquidità, tentando di capire se l’Oracolo si comprerà questo o quel gigante di Wall Street e se magari, finalmente, si innamorerà di quell’intelligenza artificiale che al momento non lo entusiasma. In realtà, la notizia è già in questa massa incredibile che ha deciso di tenere investita a brevissimo. «Con» Trump, ma non «per» Trump, Buffett si aspetta un calo dei mercati. E poi ricomincerà a investire su Corporation America come ha sempre fatto, ovvero comprando sui minimi.

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