Zoff ha ragione, il “leleadanismo” non fa per noi. Tra Martellini e gli “urlatori” non c’è partita
Grande Dino Zoff. Siamo con te, il “leleadanismo” è insopportabile. Il dibattito che il grande numero uno della Nazionale campione del Mondo dell’83 ha aperto sul telecronista Rai Lele Adani ci rincuora: non siamo soli, siamo in tanti a non gradire le dirette urlate, al cardiopalma, piene di sensazionalismi e grida. Noi siamo e rimarremo ammiratori assoluti, per sempre, di Martellini, Pizzul, Ameri, Ciotti, Giorgio Martino. La sobrietà, signori, è un valore. E non è una questione d’età. E non c’è da offendersi. C’è chi ha saputo trasmettere grandi emozioni con l’equilibrio dei toni. E chi trasmette telecronache ansiogene di gare spesso dai contenuti tecnici modesti. Lele Adani è preso da Zoff come emblema di una genìa di telecronisti – o “seconde voci”- che praticano l’eccesso di parole e i sussulti come cifra stilistica.
Zoff: “Non posso essere in linea con quello che ascolto in certi momenti”
In un’intervista a Libero Zoff ha ammesso: «Io provengo da un’altra era geologica e le mie partite sono state raccontate dapprima da Niccolò Carosio, poi da Martellini e infine dal mio amico Bruno Pizzul – ha spiegato l’ex grande portiere dell’Italia–. Diciamo che erano altri stili di narrazione e fermiamoci qui. Non posso essere in linea con quello che ascolto in certi momenti”, ha ammessso. “Siamo nelle stagioni di quella che definirei un’inflazione eccessiva delle parole, che trova conferma anche nei racconti calcistici televisivi. Non capisco i toni così accesi in partite che non sono certo finali mondiali o europee. L’urlo lo dovrebbe fare il tifoso allo stadio e non chi racconta le partite in televisione“. Standing ovation.
Il “leleadanismo” non fa per noi
Abbiamo fatto la ‘ola’ leggendo le parole del mitico portiere Azzurro che ha chiaramente ammesso di non gradire l’impostazione “urlata” che oggi adottano i telecronisti Adani style. Urla, trasalimenti, entusiasmi repentini, sussurri e grida anche su una mini-giocata. No, la partita vien quasi soffocata da un diluvio di parole ed effetti speciali, spiegazioni tecnicistiche ai limiti dell’esoterismo e spesso autoreferenziali. Nulla di personale, ovviamente, verso Lele Adani ed altri telecronisti e voci tecniche di nuovo conio. Hanno tutti il diritto di coltivare il loro stile che li ha resi popolari. Liberi noi di giudicare e rimpiangere una cifra stilistica di cui probabilmente si è perso il manuale.
Nando Martellini, sintesi di un stile nobile: essenzialità ed emozione
L’innamorato di calcio non ha bisogno degli effetti speciali, anzi, molti “puristi” da tempo tolgono l’audio per concentrarsi sul gioco. E non è una questione di “era geologica” come dice Zoff quasi premettendo che il suo giudizio potrebbe essere condizionato dall’età e dal tempo che fu. Non è così. Quando l’11 luglio 1982 Nando Martellini, al triplice fischio di Italia – Germania, esclamò per tre volte «Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo», disse tutto, non c’era altro da aggiungere e si guadagnò una sorta di “immortalità”. Non c’era da urlare ciò a cui tutti avevano assistito: era un tono fatto di gioia contenuta, soddisfazione, felicità nel trasmettere agli italiani un’impresa collettiva. Quella frase semplice ripetuta tre volte fu l’unico strappo a telecronache rigorose e pure vibranti. Vi immaginate Lele Adani o qualche altro telecronista “scalmanato” di cosa sarebbe stato capace?
L’innamorato di calcio non cerca il sensazionalismo
Chi ama il calcio gusta le partite, le vive e le “soffre” già nell’animo suo: per molti tifosi e sportivi si tratta di un “rito”: il telecronista – o seconda voce- dovrebbe officiare questo rito senza sovrapporsi e tracimare. Il “leleadanismo” dei nostri tempi ha trasformato invece il fatto sportivo in intrattenimento, il telecronista o la seconda voce, in un personaggio protagonista. E’ lui a “fare” la partita e non la partita ad essere veicolo di emozioni. Adani è l’emblema di questa metamorfosi diffusa che trasforma ogni telecronaca in un palcoscenico personale più per chi la racconta che per chi la gioca. Non è il solo ovviamente.
Quel “campioni del mondo” ripetuto tre volte, sintesi di un’epopea collettiva
Ma vuoi mettere quella poesia, quella “mistica” che si respirava quando una voce misurata sapeva diventare voce di popolo con sapienza e garbo? Rigore ed emozione, chi è più capace di coniugare questi elementi? Voce calda e rassicurante, garbo e sensibilità, gusto per l’essenziale, capacità di rappresentare tutti, mai divisivo. Uno stile nobile di comunicazione che non ha età. Prendiamo l’ urlo contratto «campioni-del-mondo», ripetuto tre volte, come segnò un’epoca, come è incisa ancora nel nostro vissuto. Le telecronache di Martellini non erano opinioni o rincorse verbali: erano nomi. Raccontava spesso quasi soltanto chi aveva la palla: Antognoni… pausa; Tardelli… pausa; Paolo Rossi…pausa. Non si entusiasmava ai gol, lo considerava irrispettoso per il telespettatore: il gol rappresentava un momento di estrema professione. Mario Sconcerti, grande giornalista scomparso, raccontò di avergli chiesto perché avesse ripetuto tre volte “campioni del mondo”. “Si sorprese e rispose: ‘perché era la terza volta che lo diventavamo’”. Sublime.
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