Elio De Capitani re Lear al Cagnoni di Vigevano: «Una metafora dell’essere umano»
VIGEVANO. Il sipario si apre su una catasta di sedie rovesciate, teschi, spade. E in cima un trono da cui Re Lear guarda sprezzante la corte dall’alto, prima di scivolare nella follia. Elio De Capitani e la compagnia dell’Elfo Puccini portano in scena martedì 26 novembre (ore 20.45), al teatro Cagnoni di Vigevano, una delle più celebri tragedie di Shakespeare. In cabina di regia Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Pochissimi i biglietti ancora disponibili.
Frongia, con Re Lear avete celebrato nel 2023 i 50 anni dell’Elfo Puccini.
«E soprattutto con i fondatori, tra cui De Capitani e Bruni, ancora sul palco per celebrare uno dei teatri più importanti di Milano e anche del Paese».
A quante repliche siete arrivati?
«Siamo alla 60esima in due anni. E auguriamo a Re Lear una lunghissima vita. Più si vede, più vive. E’ un dramma molto profondo, fatto di intrighi, combattimenti, ma anche parole bellissime».
E ricco di metafore.
«Ricchissimo. “Avresti dovuto aspettare di diventare vecchio, prima di essere savio” dice il Matto di Corte al re. Sembra un folle ma Shakespeare gli assegna il ruolo del grillo parlante. Un’altra metafora intensa riguarda il conte di Gloucester, figura emblematica che, dopo essere stato accecato, perderà la vista, ma imparerà a vedere meglio il mondo».
Il testo porta ancora messaggi attualissimi.
«E’ uno di quei testi che trascendono il tempo perché attraversa l’essenza più profonda dell’essere umano. Racconta di genitori assurdi e figli che pretendono di rubare, con trame nascoste, l’eredità del padre. Svela l’eterno conflitto tra bene e male, la follia del potere, il pensare di potersi sostituire a Dio».
Brevemente, ricordiamo cosa accade?
«Tutto nasce dalla decisione di Re Lear di volersi liberare del fardello del potere ma non dei privilegi. E compie un gesto assurdo: divide il regno in tre parti, una per ciascuna figlia. E questa scelta genera la tragedia. Era incomprensibile allora, e purtroppo lo è in parte ancora adesso, che il potere potesse finire nelle mani di figlie femmine. Donne che pretendono di comandare».
Re Lear fa di peggio: promette di assegnare le parti in proporzione all’amore che le figlie gli avrebbero dimostrato.
«Le due figlie maggiori, sposate rispettivamente ad Albany e Cornwall, gli giurano un immenso affetto, ma mentono. Cordelia, invece, la figlia minore e la preferita di Lear, si rifiuta di partecipare alla gara e per questo il re la disereda. “Non avrai altro come dote se non il mio odio” le intima. Parole durissime. A dimostrazione che la sincerità non paga. E la prova d’amore da lui imposta mette in luce al contrario solo il ricorso alla finzione per opportunità».
L’ambientazione non è Seicentesca, l’epoca di Shakespeare.
«Abbiamo tolto il tempo preciso. Pur indossando alcuni costumi i personaggi si muovono in un’ambientazione astratta ma al tempo stesso concreta. Perché odio, paura, amore, tradimento sono sentimenti eterni».