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Rinnovo contratti nella Pa: una vergogna per il governo, un harakiri per la Cisl

Anche la Pubblica Amministrazione sta arrivando lentamente a concludere la sua tornata contrattuale. Per primi stanno arrivando i dipendenti delle funzioni centrali, i veri statali, con un’ipotesi di aumento del 6% per il periodo 2022-24. La Cisl ha firmato la pre-intesa, mentre Cgil e Uil sono fortemente contrarie e hanno negato la firma.

Si pensava che con la nuova finanziaria fosse previsto un recupero salariale, che invece non c’è stato. Che tipo di contratto si tratta? È un buon contratto che soddisfa le esigenze dei lavoratori oppure un rinnovo contrattuale truffa? Senza tema di smentita possiamo dire che si tratta di un contratto della vergogna per il governo, ma soprattutto per la Cisl.

I contratti servono almeno per recuperare il potere di acquisto eroso dall’inflazione, che invece nei nuovi accordi non viene minimamente tutelato. Se il contratto garantisce un aumento medio lordo di 165 euro, in realtà certifica una perdita media di circa 250 euro lordi. Una vergogna per il governo della destra-destra che però è felice perché in questo modo porta a casa soldi per il suo populismo fiscale. Indegno, e speriamo anche disastroso, soprattutto per la Cisl che oltre a essere per vocazione filo-governativa si mostra totalmente succube anche alle logiche governative.

Veniamo al punto. Per i sindacalisti della Cisl si tratta di un buon contratto e quindi hanno firmato per tre ragioni, tutte e tre fasulle. La prima deriva dal fatto che i conti sono truccati. Quando il sindacalista afferma che è un contratto migliore di quello precedente che garantiva un incremento del 4% per il periodo 2019-21, sembra veramente prendere per fessi i lavoratori (sottoscritto compreso). Nel triennio 2019-21 l’inflazione complessiva è stata del 2% e quindi si è trattato di un buon contratto, premier Gentiloni peraltro – e quindi la timida sinistra al governo, con il quale i lavoratori del pubblico impego hanno recuperato un poco il blocco degli stipendi decretato da Berlusconi e continuato da Renzi. Oggi la situazione è ben diversa a causa dell’inflazione che nel triennio è stata superiore al 15%. Un rinnovo del 6% è apertamente una truffa ai danni dei lavoratori. Un sindacalista che cerca di nascondere queste cose non fa bene il suo mestiere e andrebbe licenziato.

Anche la seconda argomentazione è inaccettabile. La Cisl ritiene di accontentarsi della fiscalizzazione degli oneri sociali, il nuovo bonus del governo Meloni. Poiché molti lavoratori della PA hanno redditi sotto i 42.000 euro, ecco che percepiranno il nuovo salarietto statale. Ma qui sta il punto. Con la fiscalizzazione vengono premiati non solo i dipendenti pubblici, ma anche quelli privati. Si usano i soldi della contrattazione pubblica per pagare le promesse politiche. Tenendo conto che la massa salariale della PA è stata nel 2023 di 180 miliardi, il mancato riconoscimento dell’inflazione dell’ordine del 9%, fa risparmiare al governo ben 15 miliardi all’anno. Il salvataggio delle finanze pubbliche, come con Berlusconi, passa per il taglio degli stipendi pubblici.

La terza argomentazione è ancora più fasulla. Si dice da parte del governo – e la Cisl ne conviene – che non ci sono risorse ulteriori. Strano, perché nel contempo si è approvata la riduzione dell’Irpef che vale più di cinque miliardi, risorse che potevano essere usate per rinnovare i contratti della PA. Meloni ha adoperato il mancato recupero dell’inflazione della PA per la riduzione dell’imposta sul reddito. La Cisl ha completamente svenduto gli interessi dei dipendenti pubblici per finalità politiche e corporative. Una pessima azione sindacale.

Quali conclusioni possiamo trarre da questi primi rinnovi contrattuali truffa e da autentico harakiri per la Cisl? Quando ero ragazzino mio nonno mi faceva divertire con il motto: piove, governo ladro! Oggi quel motto diventa: c’è l’inflazione, governo ladro. Non c’è dubbio che i pubblici dipendenti siano stati derubati dal governo Meloni con la complicità indecorosa di un sindacato, la Cisl. Bene hanno fatto i veri sindacati, Cgil e Uil, a battere il pugno sul tavolo, anche se la mancanza di unità li indebolisce. Se oggi un pubblico dipendente vota a destra sa che, grazie anche alla Cisl, perderà 250 euro al mese e per sempre. Facile fare i conti del disastro finanziario. Vedrà anche decurtata la sua pensione futura. Insomma fa veramente una scelta stupida, economicamente parlando. I soldi pubblici ci sono, solo che vengono dirottati altrove. Se poi vuole offrire questo obolo economico per difendere dei tristi ideali reazionari, questo è un altro piano, ma non deve poi lamentarsi dei tagli allo stipendio.

Sul pubblico impiego, esaltato a parole ma massacrato nei fatti, la destra è traditrice, oggi con Meloni come ieri con Berlusconi. Se poi fossi un iscritto alla Cisl non avrei alcun dubbio a riconsegnare la tessera a un sindacato che mi fa perdere soldi, tanti soldi. È triste però vedere che truccando i conti e in piena malafede un importante sindacato, come è la Cisl, diventare la stampella non richiesta di un governo che imbroglia malamente e sonoramente i suoi dipendenti. Sarebbe ora di una rivolta, o anche solo di una rivoltina per una legittima difesa del salario. Toccherà ai lavoratori come al solito respingere i rinnovi truffa del governo Meloni e dei suoi ministri, grigi e anonimi portaborse.

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