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Al Teatro Parioli Raoul Bova è “Il nuotatore di Auschwitz”

di Alessia de Antoniis

Il Teatro Parioli di Roma ha inaugurato la stagione 2024-2025 con la prima assoluta de “Il nuotatore di Auschwitz”, ispirato alla vera storia di Alfred Nakache e al libro “Uno psicologo nei lager” di Viktor E. Frankl. “Il nuotatore di Auschwitz” replicherà fino all’8 dicembre. Scritto e diretto da Luca De Bei, vede protagonista, solo in scena, Raoul Bova che dà voce a entrambi i personaggi, facendo anche da voce narrante.

Lo spettacolo è incentrato sulla storia di Alfred Nakache, un nuotatore francese sopravvissuto ad Auschwitz – numero scritto sul braccio 172763 – e di Viktor Frankl, psicologo austriaco anch’egli internato. Entrambi rappresentano figure di resistenza e amore per la vita.

Il testo di Luca De Bei sottolinea l’importanza di vivere il momento, affrontare le difficoltà con forza interiore e trovare significato nella sofferenza trasformandola in positivo; evidenzia come anche nei momenti più bui si possa trovare una luce, una connessione con qualcosa di più grande; rappresenta lo sport come uno strumento di disciplina, sacrificio e unione, capace di ispirare solidarietà anche in condizioni estreme. Con questa drammaturgia De Bei non mette in piedi solo una rievocazione storica, ma una riflessione sull’attualità, cercando di offrire messaggi di speranza, incoraggiando i giovani a trovare forza nei legami e nei piccoli momenti di bellezza, Mostra come la fede, il coraggio e la solidarietà possano emergere anche nelle situazioni più difficili, evidenziando il potenziale umano di superare il male con il bene. Nakache, tornato da Auschwitz, parteciperà alle Olimpiadi di Londra e otterrà un nuovo record mondiale di nuoto.

Lo spettacolo è un monologo teatrale, dove Raoul Bova si confronta con la sfida di portare in scena, da solo, momenti chiave della vita di Nakache e Frankl, alternando emozioni intense a riflessioni filosofiche.

La colonna sonora – con le musiche originali Francesco Bova – e le immagini – i contributi video sono di Marco Renda – supportano la narrazione, amplificando l’impatto emotivo e suggerendo interpretazioni personali degli eventi raccontati. La scena, costruita  attorno a Bova, è essenziale, composta principalmente da linee di luci disegnate da Marco Laudando e che diventano simbolo di corsie in piscina e di rotaie che trasportano anime cariche di dolore, per assurgere infine a fughe prospettiche in una tensione verso l’ignoto, l’assoluto, la ricerca di una spiritualità quanto mai necessaria nel tentativo di sopravvivere alla brutalità del lager.

La forza dello spettacolo è quella di raccontare storie vere che uniscono le vite di due uomini straordinari, per dar vita a un ponte tra storia e psicologia, creando un focus sull’umanità dove il tema storico dell’Olocausto cerca di tornare ad essere un messaggio universale. Cosa non facile in tempi di delirio come quelli che stiamo attraversando. L’architettura drammaturgica di Luca De Bei è ben costruita.

Scrive De Bei nelle note di regia: “Nella messinscena di questa vicenda, cupa e luminosa assieme, ho costruito lo spettacolo attorno alla figura carismatica di Raoul Bova. Raoul dialoga col pubblico, forte anche delle sue stesse esperienze di atleta”. Uno spettacolo dove “Alfred e Viktor sono uno lo specchio dell’altro, sono le due facce di una stessa medaglia e si fondono in un’esperienza capace di dare agli spettatori il senso ultimo dell’esistenza”.

La prima al Parioli non è stata perfetta. Nonostante il testo fosse scritto su due leggii, a volte ci sono state dimenticanze. La recitazione si alternava su un paio di corde, mancando forse di quella drammaticità che non viene da un tono lamentevole, affranto o disperato. Sarebbe facile ripetere che Bova manca di una preparazione accademica e che non è solito salire sulle tavole del palcoscenico. Bova è un professionista dell’audiovisivo. Tutto qua. Almeno la sera della prima, la mancanza di preparazione nel saper gestire l’emozione del palcoscenico si è fatta sentire. Anzi, potremmo dire che l’ha fatta da padrona. In un Paese dove quando gioca la Nazionale siamo tutti allenatori e quando scoppia una guerra tutti esperti in tattica militare, sarebbe facile trovare solo i difetti. Ma il teatro è quel posto dove è buona solo la prima, dove non c’è montaggio, dove ogni sera si recita a soggetto un copione che l’emozione può anche far dimenticare. Sicuramente il teatro perdona molto meno del set. Ma l’attore amato da migliaia di telespettatori e telespettatrici ha portato in scena con umanità un testo che ha sentito suo e che De Bei aveva creato per lui. La prima non è stata perfetta. No. Ma il teatro è davvero un mestiere. Si impara studiandolo e facendolo. E facendone tanto.

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