I possibili impatti della crisi siriana sul dossier ucraino
L’offensiva dei ribelli siriani e il loro ingresso ad Aleppo avranno delle significative ripercussioni geopolitiche. Premesso che la situazione è ancora in evoluzione, è abbastanza chiaro come il governo di Damasco si trovi in difficoltà. Tra l’altro, va sottolineato che alcune delle sigle, a cui appartengono gli insorti in campo, intrattengono storici legami con la Turchia. Il che lascia supporre che, forse, l’offensiva in corso sia avvenuta con il benestare di Ankara, nonostante quest’ultima abbia detto di aver cercato di dissuadere i ribelli dall’agire. Non è infatti improbabile che Recep Tayyip Erdogan abbia intravisto una finestra di opportunità a seguito di una valutazione del quadro complessivo.
In primis, l’Iran, che è uno dei principali alleati mediorientali di Damasco, è uscito fortemente indebolito dalla crisi che ha avuto con Israele. Non solo. Lo Stato ebraico ha anche significativamente fiaccato due proxy iraniani, come Hezbollah e Hamas, decapitandone le leadership. Tra l’altro, alla Casa Bianca sta per insediarsi Donald Trump, il quale ha già fatto sapere di voler ripristinare la politica della “massima pressione” su Teheran. In secondo luogo, il sultano sa benissimo che Vladimir Putin è attualmente distratto dalla guerra in Ucraina: e questa è esattamente una delle ragioni per cui il presidente russo sta facendo al momento fatica ad assistere Bashar al Assad contro i ribelli. Insomma, alla luce di queste considerazioni, non è improbabile che Erdogan abbia voluto sfruttare la situazione a proprio vantaggio, per azzoppare l’influenza russa e iraniana sulla regione.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che, negli ultimi anni, il presidente turco aveva notevolmente migliorato i propri rapporti con Mosca e Teheran. Dall’altra parte, va però ricordato che il sultano è avvezzo alle “rivoluzioni diplomatiche”. Nel 2022, per esempio, aprì all’Arabia Saudita dopo anni di gelo. Non solo. La diplomazia regionale di Erdogan è spesso influenzata dai cambi della guardia alla Casa Bianca. Quindi, come abbiamo visto, è possibile che si stia riposizionando in considerazione del ritorno di Trump e, conseguentemente, di una linea severa degli Stati Uniti nei confronti di Teheran.
Infine, non si può non notare una ramificazione ucraina dell’attuale crisi siriana. Come noto, Trump ha intenzione di avviare dei negoziati di pace. Ebbene, quanto sta accadendo ad Aleppo indebolisce significativamente il potere contrattuale dello zar in vista delle trattative. Non solo perché ha adesso un secondo fronte militare a cui prestare attenzione, ma anche perché i suoi due principali alleati mediorientali – Siria e Iran – appaiono sempre più deboli. Senza poi trascurare che, in questi due anni e mezzo, Teheran ha inviato droni militari a Mosca per colpire l’Ucraina. Certo, bisognerà vedere se la Russia riuscirà a far recuperare militarmente terreno ad Assad nelle prossime settimane. Tuttavia, qualora non dovesse riuscirci, ciò potrebbe dare a Trump più margine di manovra in sede di trattativa sull’Ucraina. Lo stesso Erdogan potrebbe approfittarne per ritagliarsi il ruolo di principale mediatore al tavolo dei negoziati con Kiev.
Non dimentichiamo che martedì scorso, vale a dire il giorno prima dell’inizio dell’offensiva dei ribelli, gli Stati Uniti hanno bombardato, in territorio siriano, un deposito di armi appartenente alle milizie iraniane. A questo elemento ne va collegato un altro: la scorsa settimana, il consigliere per la sicurezza nazionale americano in pectore, Mike Waltz, ha detto che il suo team sta lavorando spalla a spalla con quello dell’amministrazione uscente. Non si può quindi escludere che la strategia di Trump sia esattamente quella di scambiare pedine con Putin su tavoli diversi. Restringendo il suo margine di manovra in Siria, la Casa Bianca punta a rafforzare la propria posizione negoziale sull’Ucraina. Se le cose stanno così, la sfida per Trump sarà semmai quella di trovare un bilanciamento tra Turchia e Russia. Ma questa, almeno per ora, è un’altra storia.