C’è la moda dello sciopero prêt à porter
Diciamocelo: oggi scioperare è molto trendy. Si porta benissimo su tutto, come il blu. È per questo che ho deciso di scioperare. Mi dispiace caro nume tutelare: incrocio le braccia. Del resto se è scattato pure lo «sciopero delle orecchiette» non può forse esserci lo sciopero del Grillo? Giuro: lo sciopero delle orecchiette. L’hanno proclamato davvero. Le donne pugliesi che vendono il prodotto tipico nelle viuzze di Bari Vecchia, diventate ormai un’attrazione fissa per i turisti, hanno proclamato un’astensione del lavoro per protestare contro chi le accusa di non vendere prodotti artigianali ma industriali. C’è chi sospetta che, in realtà, la loro rivolta sia contro coloro che vogliono istituire qualche controllo sulla loro attività, ma tant’è: lo sciopero s’è fatto. Lotta dura, orecchiette senza paura. Avanti popolo alla riscossa, cime di rape e pasta rossa.
Qualcuno potrebbe pensare che questo proliferare di scioperi, come quello dell’orecchietta o quello del Grillo, abbiano come effetto finale quello di svilire il sacro strumento di lotta dei lavoratori. In effetti, il sospetto viene. Ma del resto quando Maurizio Landini usa lo sciopero generale come strumento per la sua carriera politica, anziché per difendere gli interessi dei lavoratori, non fa la stessa cosa? E quando i ferrotranvieri fermano treni o bus senza provocare alcun danno alle aziende, ma solo agli incolpevoli passeggeri, non fanno la stessa cosa? E quando gli studenti scendono in piazza soltanto per poter bigiare la scuola e far baldoria, senza rimetterci niente, ma anzi guadagnandosi qualche pomeriggio libero, non fanno la stessa cosa? Non mortificano cioè un istituto per cui tanti lavoratori hanno perso vita e salute? E allora se lo fanno loro, caro nume, lo posso fare anche io. Questa settimana, rassegnati: sciopero. Non lavoro. Mi astengo dalla penna.
Un po’ come le donne di sinistra che hanno deciso di astenersi dal sesso per punire i mariti che hanno votato Trump. Anche questo è uno sciopero che sta andando per la maggiore, soprattutto sui social. Niente Kamala, niente sesso. Più Trump, meno tromb. Anche questo sciopero a dire la verità potrebbe sembrare offensivo per la gloriosa epopea delle lotte operaie, ma esso ha un riferimento storico che lo nobilita: racconta infatti Aristofane in Lisistrata che durante la guerra del Peloponneso le donne greche proclamarono lo sciopero del sesso. Niente più rapporti fino a quando non avessero smesso di combattere. In quel caso, per altro, l’astensione del lavoro raggiunse lo scopo. E ho scritto «scopo» senza allusioni, sia chiaro, se no qui ricomincia lo sciopero delle femministe… Del resto di scioperi bizzarri è piena la storia. Da quello per la birra alla domenica (Chicago, 1855) a quello contro Igor Stravinsky (Parigi, 1913), dalla rivolta per le calze di nylon (Pittsburgh, 1945) a quella per i cappelli di paglia (New York, 1922). E non sempre i manifestanti rivendicano il salario.
Eppure il primo sciopero di cui si ha notizia si svolse proprio per la paga: XII secolo a.C., Egitto del faraone Ramses, gli operai impegnati nella costruzione delle tombe rivendicarono il diritto alla ricompensa, e cioè grano, pesci e legumi, oltre che i sistemi di sicurezza, cioè gli unguenti necessari a proteggersi dal sole. Il faraone acconsentì, come documentato nel Papiro dello sciopero conservato al Museo Egizio di Torino.