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Pep Guardiola, benvenuto sulla terra: ha scoperto come vivono gli allenatori normali, senza risultati e con l’ansia dell’esonero

I graffi in testa dopo il 3-3 di Champions con il Feyenoord, il gesto con le dita delle mani per indicare i campionati vinti ai tifosi del Liverpool che evocavano, sghignazzando, il suo esonero dopo il 2-0 incassato all’Anfield: in pochi giorni Pep Guardiola ha messo a nudo la sua “fragilità” di fronte alla prima vera crisi esplosa dopo una formidabile carriera di allenatore. Il percorso del coach che ha cambiato la storia del calcio e ha vinto come nessuno negli ultimi sedici anni è stato una cavalcata senza ostacoli, con il sottofondo della musica di Ennio Morricone. Un viaggio straordinario, nel numero dei successi, nei consensi unanimi e anche nella pulizia di un curriculum mai macchiato da un esonero. Pep non ha mai incassato dal 2008 a oggi un licenziamento, una contestazione, una critica spietata. Non ha mai dovuto confrontarsi con la paura di perdere il posto di lavoro. Poche volte si è risvegliato con l’aria stropicciata: vengono in mente le albe dopo il ko nella finale Champions 2021, dopo il flop sempre in Champions nel 2020 e dopo l’eliminazione ancora in Europa nella semifinale 2022 contro il Real, ma è davvero un’inezia paragonata ai tormenti vissuti dai suoi colleghi, anche da quelli più illustri. Mourinho e Ancelotti, altri totem della panchina, qualche esonero lo hanno collezionato. Anche Conte, Flick e Mancini sono stati messi alla porta. Simeone si è dimesso tre volte. Luis Enrique è stato “sollevato dal suo incarico” di ct della Spagna l’8 dicembre 2022, dopo il pessimo mondiale in Qatar della Roja. Solo Jurgen Klopp non ha mai fatto i conti con esoneri, dimissioni e formule eleganti per non pronunciare la parola licenziamento: il tedesco, prossimo responsabile dell’area tecnica Red Bull, è riuscito sempre ad anticipare i tempi, vedi quanto accadde nel Borussia Dortmund nella primavera 2015.

Il bagno di normalità di Guardiola ha mostrato la sua fragilità. Autoflagellarsi, fino a segnarsi il viso con i graffi, è segnale di un disagio profondo. Rispondere con il gesto del “sei tituli” ai tifosi avversari che lo sbertucciavano è stata una reazione da primo della classe preso in giro dai compagni. Pep ha detto di “non aspettarselo all’Anfield” e anche qui si legge una certa mancanza di lucidità: chi, se non il popolo Reds, dopo le amarezze vissute in Premier dal 2018 a oggi? Il Manchester City non perdeva quattro gare di fila in campionato dal 2008 ed è scivolato al quinto posto. I campioni d’Inghilterra non vincono da sette partite: sono fuori dalla Coppa di Lega e diciassettesimi nel “classificone” Champions. Nella corrida dell’Anfield, Guardiola ha avuto un guizzo: “Questi giocatori mi hanno dato la possibilità di vivere forse gli anni migliori della mia vita. Tutto quello che posso fare è cercare di trovare una soluzione”. Parole eleganti, più in linea con la storia del personaggio. Poi l’ha buttata lì: “Forse davvero meriterei l’esonero. Tutti gli stadi vogliono licenziarmi, non solo Liverpool: questa storia è cominciata a Brighton, il nove novembre”.

Il City, tranne in caso di crollo epocale, non allontanerà mai Guardiola, ma forse i dirigenti stanno ripensando in queste ore al prolungamento del contratto di Pep fino al 2027. Una mossa che ha spiazzato tutti, soprattutto chi intravedeva la fine del rapporto nell’estate 2025. Dopo aver vinto tutto con il City e conquistato qualcosa come 15 trofei, ora Guardiola dovrà mostrare un lato inedito: saper lottare per il pane quotidiano, come accade per tutti gli altri allenatori del mondo. Dovrà pensare al mercato di gennaio, altra storia per lui inedita. Dovrà fare i conti con le critiche e con altre ironie. Dovrà scontentare qualcuno dei mammasantissima del City. Dovrà trascorrere notti tormentate e vivere albe difficili. Dovrà prendere atto che alcune delle star di questi anni sono appesantite dagli anni e dall’usura del calcio inglese: De Bruyne e Walker su tutti. Benvenuto sulla terra, mister Guardiola.

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