Da caregiver per anni ho trascurato la mia salute: lo Stato dovrebbe adottare un protocollo ad hoc
Noi caregiver spessissimo trascuriamo la nostra salute a favore dei nostri cari. Non siamo eroi, non abbiamo problemi di autolesionismo ma a volte è incompatibile gestire due priorità e le nostre finiscono per essere trascurate. E così piccoli problemi aumentano e diventano più gravi. Io a 45 anni ho avuto due infarti. E non solo.
Mi trovo presso l’ospedale Sant’Eugenio di Roma. Reparto di cardiologia. E sono viva. Che non è un dettaglio e lo sono grazie a un medico, il dott Gaetano Gioffrè: questo medico nel 2017 si mise d’accordo con Dio e insieme mi hanno garantito la Vita. Mi sono trascurata per 2/3 anni. Perché un incendio in casa mia ha creato disagi enormi per la gestione di mia figlia Diletta. E poi la sua salute è prioritaria, non è differibile. Senza nessuna autonomia, quando nessuno può io devo esserci senza scuse, anche se questo poi produce un ricovero in terapia intensiva cardiologica. E non ne sono fiera.
Affronto questo argomento perché ai caregiver servono risorse e riconoscimenti veri e legittimati non chiacchiere. In quel reparto, oltre a questo cardiologo dalle qualità professionali ineguagliabili, naturalmente apprezzato da tutti i suoi pazienti per l’intelligenza e l’umanità, ho trovato ciò che dovrebbe essere la prassi per noi caregiver.
Mio padre è mancato due anni fa per un arresto cardiaco. Attaccato ad una macchina, entrò in un corridoio e mentre andava via mi salutò. Fu il nostro ultimo saluto. Non lo ho più visto, mio padre. E sono crollata. Ho investito ogni energia nella mia Fondazione Villa Point e ho puntato dritto alla famiglia perché noi caregiver siamo operaie della sopravvivenza altrui fino all’estrema esigenza di sacrificare noi stesse. Una casa da rimettere in piedi per un incendio giusto per non farsi mancare nulla e alla fine il crollo e il ricovero in terapia intensiva.
E qui in questo reparto ho trovato ciò che mi serviva: consapevolezza che la nostra vita è una guerra in prima linea, agevolazioni sulla comunicazione. Qui hanno capito che noi abbiamo bisogno di schiettezza di ipotesi e diagnosi camminando insieme perché le gravissime disabilità ci hanno abituato a far parte della diagnosi dei nostri figli e non sappiamo più fare diversamente.
Ho trovato professionalità e cura dei pazienti e degli ambienti. Pazienza nel gestire le difficoltà gestionali che noi da caregiver intuiamo al volo con una marcia in più. La paura che ci accada qualcosa che non è legata a noi ma a chi resterebbe senza di noi… Un equilibrio delicatissimo e difficile dove da un lato si cerca di prestare le cure necessarie e dall’altro si tiene conto che non ci sia molto da scegliere.
Un salottino per i degenti che mi ha permesso a distanza di monitorare mia figlia disabile senza dover diffondere qualsiasi notizia ai compagni di stanza e potendo usare il pc; elasticità nelle visite perché è ovvio che dipendono dalla copertura assistenziale di mia figlia; la comunicazione schietta e tonica; la consapevolezza del personale; accertamenti e cure eseguite con scrupolo per tutte ma nel caso del caregiver concordate con esigenza di assistenza di alta intensità di una disabile gravissima a casa. Le consulenze mediche ad ampio raggio che ti fanno sentire che la tua salute è finalmente importante. Che lo Stato attraverso operatori davvero bravissimi ti sostiene e ti è grato.
E allora mentre fai il prelievo scopri che un operatore di reparto ha una bimba bellissima di un mese e mezzo di nome Matilde e vedere gli occhi brillare di questo padre ti fanno stare bene. E le pulizie eseguite con cura e il rammarico se qualcosa manca. Dottoresse di reparto che sembra tendano una mano costante anche umana. Il vitto misurato a paziente. Un luogo che arranca nel mare di tagli sacrifici e ingiustizie ma tiene stretta la dignità di voler essere una vera eccellenza.
Costruire un protocollo di accesso ai caregiver e garantire alcuni elementi fondamentali durante o ricovero sarebbe un segno di civiltà e presenza. Qui ho la fortuna di averlo grazie a queste presenze del mio cardiologo eccezionale di un primario sensibile e responsabile e di un te veramente efficiente ma poi? Cosa accade anche migliori policlinici di una grande città? E nei piccoli centri? Cosa ci vorrebbe a creare un protocollo d’intesa che fosse anche strumento divulgativo per far conoscere lo Stato e la condizione fisica dei caregiver in Italia.
Penso a mamma Sara che da anni deve essere presente nonostante gli operatori e non può curarsi se non sotto il ricatto di ricoverare un figlio che morirebbe in un attimo. Moriranno in due ma almeno saranno insieme. Questa è civiltà? Questo è diritto alla salute? Penso a mamma Daniela con due figli gravissimi spesso ricoverati per una patologia cardiaca gravissima come la sua e alla roulette russa con la quale convivono. Basterebbe davvero poco.
Intanto sento il dovere di ringraziare il reparto e soprattutto il mio cardiologo. Il Sant’Eugenio reparto di cardiologia può essere l’esempio giusto da seguire. Grazie ♥️
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