Il triestino Andrea Andolina dal palcoscenico alla cinepresa: «Anche in provincia c’è talento»
Stare dietro la macchina da presa per inseguire un sogno, farne pian piano un lavoro, non arrendersi anche quando quello del cinema sembra un mondo inaccessibile. È l’esperienza di tanti filmmaker triestini che hanno deciso di trasferirsi fuori città, oppure di rimanere per provare a costruire un futuro nell’audiovisivo in regione.
È il caso di Andrea Andolina, regista di corti che hanno girato decine di festival. Ora il suo ultimo lavoro, “Una voce”, fa anche un salto fuori dall’Italia, selezionato al K3 Film Festival di Villach. È una storia di violenza sulle donne che racconta di una ragazza imprigionata, interpretato dall’attrice Caterina Gabanella e dalla voce di Marco Benedetti. Per girarlo, dice Andolina, «ho dialogato con persone che hanno subito violenza, anche psicologica». Intanto sta finendo il documentario “Sulle ali dell’amicizia”, con l’università di Pisa, «la storia di un gruppo di amici che portano i ragazzi disabili a camminare in montagna».
Molti progetti lo portano fuori da Trieste. Ma Andrea, per vivere, non si è spostato di molto: «Da qualche anno ho scelto di abitare ad Aurisina. Avevo voglia di prendere un po’ le distanze dalla città». Anche perché «non ho avuto mani tese: Trieste spesso non sa abbracciare i propri figli, o li abbraccia tardi. C’è stato un momento in cui avrei potuto andarmene, ma il cinema oggi è anche quello di provincia: abbiamo le capacità e i talenti».
La sua passione per lo spettacolo nasce da lontano, quando lavorava nei villaggi turistici: lì ha creato il personaggio del pupazzo Bobo protagonista del programma culturale per ragazzi “Viaggiando con Bobo”, in onda su Rai 3 Fvg, ispirato alla sua passione per il “Muppet Show”. Andolina porta Bobo anche a teatro con una serie di spettacoli tra i quali “Bobo e l’isola dei pirati”, con le atmosfere di Salgari e Stevenson, che va in scena per la prima volta alla Bartoli: «I bambini partecipavano attivamente allo spettacolo. C’era dietro l’idea di abituarli al teatro, mentre mamma e papà vedevano lo spettacolo nella sala grande del Rossetti», spiega.
Al Miela tiene per anni una scuola di teatro e insegna anche audiovisivo ai bambini all’Ariston, in collaborazione con l’Università di Scienze della Comunicazione.
Nel 2013 si spalanca però per il papà di Andrea, il pediatra Marino Andolina, un periodo molto buio. «Inizia per mio padre e per la mia famiglia un calvario giudiziario che dopo dieci anni si è concluso con la sua piena assoluzione, ma che ci ha provocato grande sofferenza e ha avuto molti riflessi anche sulla mia vita professionale», racconta Andrea.
È qui che ha l’occasione di debuttare nella regia cinematografica, partendo da un film sulla sanità: «Nel 2015 Maddalena Mayneri, direttrice di Cortinametraggio, mi ha dato la possibilità di girare un corto professionale: abbiamo realizzato “La cura”, tratto da “I sette piani” di Dino Buzzati (visibile su Weshort.com). Nel cast c’erano Ariella Reggio, Dario Penne, Fulvio Falzarano». Da allora si dedica al cinema con la sua casa di produzione, 040 Film.
Ma sostenersi a Trieste non è facile. «Più volte ho pensato di mollare ma, un po’ come Forrest Gump, alla fine ho continuato ad andare avanti. Grazie a un bando vinto, per esempio, è nato il corto “A colloquio con Rossella”, idealmente dedicato a Rosella Pisciotta, donna dalla cultura immensa che amava i giovani, con la quale ho iniziato a Palcoscenico giovani al Miela nel 1998. Il soggetto, su una nonnina molto attiva, è di Gaia Tomassini, la sceneggiatura della mia socia Valentina Burolo». E i risultati arrivano. “A colloquio con Rossella”, visibile sempre su WeShort.com, conquista tanti festival, con un’idea forte: girato tutto in piano sequenza, è un film in cui gli attori compaiono quasi solo in voce tramite la segreteria del telefono.
Oggi Andrea lavora su diversi fronti: dopo un corso di animazione a Granada con Tim Allen, che ha lavorato a “La sposa cadavere” di Tim Burton, sta cercando di realizzare “Plastic Love”, «un film di animazione in stop-motion che mette insieme il tema della migrazione con una vicenda di guerra, nata dalle storie che mi raccontava mio padre medico in zone di conflitto. Il film è in sviluppo, cerchiamo dei fondi perché ha un budget importante». Ha due idee anche legate al territorio: «Vorrei girare un documentario su mio papà e un film su “Il Conde” di Magris».
Nel frattempo lavora al debutto nel lungometraggio con una rilettura di “Il piccolo principe”, «la storia di un bambino nero con gli occhi azzurri e un principe africano che incontra un attore fallito». E coltiva un sogno: «Aprire uno studio di animazione: sarei uno dei primissimi in regione». —
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