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Lo Stadio di Wimbledon: ritorna per il festival “In Laguna” il film di Amalric su Bazlen e Trieste

È uno dei più bei film su Trieste, anche se ingiustamente fra i meno conosciuti (non è mai stato distribuito in Italia). Ed è anche il primo realizzato con la collaborazione della FVG Film Commission, che si sarebbe imposta in seguito come una delle più dinamiche in Italia.

“Lo stadio di Wimbledon”, tratto dal folgorante esordio di Daniele Del Giudice, diretto dal regista e attore francese Mathieu Amalric quasi un quarto di secolo fa (le prime riprese si sono tenute in città nel maggio 2000), torna ora per un giusto omaggio ai suoi protagonisti (Del Giudice è prematuramente scomparso tre anni fa). Il film sarà presentato dallo stesso Amalric a Venezia giovedì 5 dicembre, al Cinema Rossini alle 21, come film d’apertura del quarto InLaguna Film Festival, rassegna di cinema indipendente organizzata dai giovani cinefili dell’associazione Rete Cinema in Laguna.

In arrivo nuovamente in Italia, dove l’anno scorso ha avuto il ruolo del regista ne “Il sol dell’avvenire” di Nanni Moretti, Mathieu Amalric (una sconfinata filmografia da attore, dagli esordi con Otar Ioseliani fino al “cattivo” di 007 in “Quantum of Solace”) rievoca al telefono per “Il Piccolo” la genesi de “Lo stadio di Wimbledon”.

Quando ha scoperto il libro di Del Giudice e perché ha deciso di trarne un film?

«È accaduto assolutamente per caso, è la verità. Mi trovavo nella biblioteca di Étienne Balibar, filosofo e padre di Jeanne Balibar, la mia compagna di allora che poi sarebbe stata la protagonista del film. A quel tempo ero attore di cinema e teatro, ma volevo dirigere un lungometraggio. Così ho fatto un gioco: avrei scelto a caso, a occhi chiusi, un libro in quella biblioteca, e da quel libro ne avrei tratto un film. E così mi è venuto in mano “Lo stadio di Wimbledon” di Del Giudice. È stato il destino. Giuro che è la verità. L’ho letto, e mi sono fatto catturare da quella storia di un uomo sulle tracce di un “fantasma”, uno scrittore, Roberto Bazlen, che non aveva mai pubblicato nulla. Non poteva esserci storia più curiosa per uno come me che voleva dirigere. Ed è stata la scrittura di Daniele, con le sue connessioni geografiche e geometriche, che mi ha invogliato a proseguire in questo desiderio. L’incontro con la sua scrittura ha fatto diventare definitivo il mio amore verso la regia, convincendomi che il cinema può rendere tutto possibile».

Come è stato il suo rapporto con Del Giudice?

«Gli ho scritto e solo mesi dopo mi ha risposto. Sono andato a Venezia dove abitava per incontrarlo, ed ero molto preoccupato di comunicargli che avevo pensato di trasformare nel film il protagonista del romanzo in una donna, interpretata dalla mia compagna Jeanne. Lo avrebbe accettato? Invece Daniele ha esclamato: è un’idea meravigliosa! Poi è anche venuto a Trieste, ha seguito parte delle riprese ed è nata una forte amicizia».

Come ha pianificato le riprese a Trieste e chi l’ha aiutata per le location?

«Siamo andati a girare a Trieste a intervalli, per quattro volte nel giro di un anno, per rispettare l’ordine cronologico della storia e per seguire la luce naturale evocata nel romanzo. La prima volta ci siamo fermati per otto giorni, la seconda cinque e così via. Eravamo una troupe di sole sei persone e spesso abbiamo improvvisato i luoghi delle riprese la mattina stessa. Ci ha aiutato sul posto Alessandro Coleschi, che era stato contattato dal nostro produttore, il portoghese Paulo Branco. In città erano gentilissimi e tutti ci hanno aperto le porte, dalla Biblioteca civica al Caffè San Marco, dalla Galleria Fabris al Bagno Ausonia, all’appartamento di Franca Malabotta. Per noi ha significato anche scoprire Trieste, come nel libro si trattava di scoprire Bazlen. E mi è piaciuto molto».

Come giudica il film a 25 anni di distanza?

«È una domanda che non mi sono mai posto. Lo vedrò di nuovo a Venezia! Ora che ci penso, devo dire soprattutto che mi ispira molta tenerezza. Innanzitutto per l’amicizia che mi legava a Daniele, che non c’è più. E poi per l’amore verso Jeanne Balibar. A Trieste ho filmato anche il mio amore per Jeanne. Eravamo piccoli e liberi, una troupe minuscola che filmava la propria libertà e, come nel libro di Daniele, la libertà di Bazlen di non scrivere». —

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