Speciale Scala di Milano - Il tema della guerra nell'opera lirica
L'arruolamento e la trincea, sino alle drammatiche conseguenze che ogni conflitto provoca (fame, morte, povertà) costituiscono il fulcro di molte, anzi della maggior parte, delle opere liriche. Il dolore e la compassione sono infatti i sentimenti che la musica da sempre ha raccontato. Così come ha narrato la guerra. Che insieme all’amore e alla morte è uno dei cardini del melodramma.
Ecco allora un reportage di guerra. In musica. Un reportage «verdiano» che è anche un invito all’ascolto di alcuni passaggi di forte intensità lirica: «Correte allor soldati in Italia dov’è rotta la guerra contro il tedesco» canta Preziosilla, incitando i militari spagnoli, mercenari e prezzolati, ad andare a combattere nel nostro Paese. «Evviva la guerra!» questo non a caso è proprio il grido con il quale si presenta in scena. E una volta giunta in Italia, avendo inseguito i soldati nelle loro imprese, canta il suo inno «Rataplan rataplan rataplan». Inno di guerra. Inno che scalda gli animi. Capolavoro di invenzione musicale di Verdi, note e parole che sembrano anticipare, nella loro furente visionarietà, il Futurismo e la sua esaltazione della tecnologia e della guerra: Rataplan pim, pam, pum! Ecco dunque un breve viaggio intorno al tema della guerra attraverso la sua rappresentazione nel melodramma. Quello ottocentesco, in particolare. E quello verdiano, naturalmente.
Partiamo dal 24 febbraio 1607, quando a Mantova, Claudio Monteverdi mette in scena Orfeo, il primo vero capolavoro della storia del melodramma. Vi si narranno le vicende di un uomo in pena e in lotta con sé stesso che vive un conflitto tutto interiore, vinto attraverso la musica che sconfigge la morte. Ma è con il racconto delle conseguenze della guerra di Troia, ne Il ritorno di Ulisse in patria che Monteverdi passa all’esternizzazione del conflitto come dimensione tematica del dramma, mettendo in scena la guerra in un madrigale ispirato a Torquato Tasso e alla sua Gerusalemme liberata. Per non parlare de Il combattimento di Tancredi e di Clorinda, che racconta del cristiano Tancredi, innamorato della musulmana Clorinda, per la quale deve battersi in duello.
Guerra, dunque, impastata di amore e morte. «Suoni la tromba e intrepido io pugnerò da forte. Bello è affrontar la morte, gridando libertà» cantano Riccardo e Giorgio nei Puritani di Vincenzo Bellini. Un grido che è lo stesso degli italiani che nell’Ottocento lottavano per la libertà. Per fare l’Italia e gli italiani. Nel 1848 alla Scala andava in scena Norma, sempre di Bellini e quando risuonò il coro selvaggio di «Guerra, guerra!» gli spettatori si sentirono coinvolti e si misero a cantare con il coro.
Le stesse parole di Norma risuonano ne I lombardi alla Prima crociata, opera andata in scena nel 1843 alla Scala, quarto lavoro di Verdi, che racconta una vicenda del 1096, facendo un passo in più rispetto al testo del Bellini: con una tecnica quasi cinematografica racconta in musica il conflitto, come se facesse una carrellata con la macchina da presa, dal campo lombardo il suo sguardo si allarga, inquadra la battaglia e poi mostra Gerusalemme, dove sono arrivati i Crociati che cantano: «Te lodiamo gran Dio di vittoria». Un altro grido, lo stesso, «Guerra, guerra!» lo si ritrova in Aida, opera verdiana del 1871, quando Radames viene eletto comandante delle truppe che andranno in battaglia contro gli Etiopi. «Ritorna vincitor!» gli augurano tutti.
Attila, sempre di Verdi, anno 1846, ci porta nel campo avversario, qui vediamo la guerra dalla parte del nemico, andiamo tra le fila degli invasori. Urli, rapine, gemiti, sangue, stupri, rovine costellano le vicende del re degli Unni. Siamo nel 452 e Attila ha invaso l’Italia e saccheggiato Aquileia: i suoi uomini festeggiano la vittoria tra le rovine. Immagine che anche oggi, drammaticamente, i reportage di guerra ci restituiscono. Un altro momento spietato verdiano è quello che arriva nel finale del Macbeth, anno 1847, quando il popolo scozzese uccide il tiranno. «Ov’è Macbetto ov’è, dov’è l’usurpator?» si chiedono gli scozzesi sulle macerie di un conflitto che lascia solo devastazione.
E pensare che spesso la follia bellica è perpetrata in nome di Dio. Ma è ancora Verdi, e ancora nei Lombardi, a dirci, con il grido di Giselda che «No, giusta causa non è di Dio, la terra spargere di sangue umano... no Dio non vuole!». Lo conferma ora anche la Chiesa, per fortuna: «Che tutti gli uomini e le società a ogni livello e in ogni angolo della Terra possano presto sperimentare la libertà religiosa, via per la pace!» scriveva infatti papa Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2011. Una ricorrenza voluta da Paolo VI per sottolineare a ogni inizio di anno l’impegno della Chiesa per questo importante tema. Un’invocazione che fino a oggi resta inascoltata. Come quella del doge di Genova Simon Boccanegra (ancora Verdi per l’opera andata in scena a Venezia nel 1857 e rimaneggiata nel 1881 per la Scala): «E vo gridando pace, e vo gridando amor!». Grido inascoltato. Lo dicono le migliaia di vittime innocenti. Per loro la pietà. La preghiera. Quella che Verdi mette nella sua Messa da Requiem, scritta per l’amico Alessandro Manzoni nel 1874. Riflessione teatrale, teatralissima sulla morte. Grido di un uomo che sfida Dio. «Libera me, Domine, de morte aeterna in die illa tremenda». Liberami dalla morte eterna in quel giorno terribile. Una richiesta. Un accordo sospeso. Quasi un punto di domanda che ci fa affacciare sul mistero.