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Uccise il fratello e la cognata a Paese: condannato a 20 anni

Venti anni di galera per il duplice omicidio del fratello e della cognata. È la condanna inflitta, in un processo in rito abbreviato, dai giudici della Corte d’Assise del tribunale di Treviso, a Massimo Pestrin, 52 anni, l’ex guardia giurata di Paese che, il 3 maggio dell’anno scorso, uccise a colpi di pistola il fratello Lino e la cognata Rosanna.

La tragedia avvenne in una casa di campagna di via Monsignor Breda a Paese dove Pestrin uccise il fratello e la cognata (i parenti si sono costituiti parte civile con l'avvocato Luca Dorella) perché si sentiva al centro di un “complotto”. Che tipo di complotto l’aveva spiegato in requisitoria, nel corso dell’ultima udienza, il pubblico ministero Michele Permunian.

«C’era un complotto tra tutti i miei fratelli che coprivano il mio ex titolare. Mia moglie s’era messa a fare la prostituta. Proprio per questo complotto ho ucciso Rosanna e Lino. Quella che ho ammazzato Rosanna, sapeva. Avevo il sospetto che Rosanna avesse contatti con il mio ex titolare e la mia ex moglie». In realtà, come hanno appurato poi gli investigatori, la moglie non aveva avuto nessuna relazione con l’ex titolare di Pestrin, né tanto meno si prostituiva. Pestrin, che da oltre un anno era ospite del fratello e della cognata, stava attraversando un periodo di profonda difficoltà economica e personale.

«È errato - aveva spiegato il pubblico ministero in requisitoria - che Pestrin fosse privo di un movente: il movente c’era ma esisteva solo nella testa dell’imputato che credeva, benché non fosse vero, di essere vittima di un complotto e che l’unico modo per sgominarlo era quello di uccidere i soggetti che ne facevano parte».

Massimo Pestrin (difeso dall'avvocato Fabio Crea) aveva da poco lasciato la divisa da guardia giurata della Carniel. Era stato assunto a tempo determinato nel novembre 2022 e a marzo 2023 era scaduto il contratto. Lui stesso aveva chiesto di non rinnovarlo, dopo aver fatto un incidente in moto. Come prassi, il porto d’armi era decaduto ma non la proprietà dell’arma che rimaneva in carico a Pestrin.

L’ex guardia giurata, nella tarda mattinata di quel giorno, si trovava nella sua stanza, nella casa colonica di Lino e Rosanna. Erano questi ultimi a mandare avanti l’azienda agricola di famiglia, che aveva il suo fulcro nell’allevamento di oltre un centinaio di mucche da latte. Poco prima delle 13 di quel giorno, Pestrin scese in cucina. In mano aveva la sua Glock 17, calibro 9 per 21. Quando entrò, la coppia aveva appena finito di mangiare e stava preparando il caffè. Lui non proferì parola. Iniziò a sparare.

Secondo quanto ricostruito dai carabinieri, sorprese il fratello e la cognata alle spalle e sparò undici colpi di pistola: 5 alla donna e 6 al fratello. Poi uscì, ripose l’arma vicino all’entrata, gettò a terra tre colpi inesplosi e chiamò il 113. Con estrema lucidità diede nome e cognome, spiegò quello che aveva appena fatto e alla fine attese l’arrivo dei carabinieri al cancello dell’azienda agricola.

L’omicida, nell’immediatezza, rese spontanee dichiarazioni. Non volle rispondere alle domande del pubblico ministero di turno ma disse di aver ucciso Lino e Rosanna perché si sentiva al centro di un “complotto”.

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