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Crisi Milan, dove è Ibrahimovic?

Nel tempestoso post partita contro la Stella Rossa, mentre Fonseca passava da microfono a microfono per demolire dalle fondamenta lo spogliatoio rossonero, Zlatan Ibrahimovic usciva sorridente da San Siro. In silenzio. E come lui Giorgio Furlani e Geoffrey Moncada, la dirigenza di un club che stava per essere travolto dal j'accuse del suo stesso allenatore. Nessuno ne aveva intuito le intenzioni, compreso il malessere, interpretato la rabbia alla fine di una gara comunque vinta. Nessuno. Come a Bergamo pochi giorni prima, quando nel mirino della rabbia di Fonseca era finito l'arbitro La Penna insieme a tutta la classe arbitrale con un attacco così duro da suscitarne la reazione indignata.

Raccontano le cronache che anche il giorno dopo a Milanello sia stato come il giorno prima. Fonseca da solo nel faccia a faccia con la squadra, gli stessi giocatori esposti pubblicamente, accusati di non dare tutto per il bene del Milan al contrario del tecnico auto assolto. Nessun dirigente presente.

Da tutto questo si evince che il modo di operare della dirigenza rossonera sia questo. Del resto Ibrahimovic lo aveva esplicitato lo scorso 22 ottobre parlando di uno dei tanti incendi che hanno consumato la prima parte della stagione: "Fonseca sia se stesso, è lui l'allenatore e certe questioni devono risolvere dall'interno, sono adulti e devono prendersi le loro responsabilità. Ed è quello che stanno facendo". Dunque, nessuna sorpresa.

Però è normale arrivare anche ad altre conclusioni. La prima: il metodo Ibra non funziona. Non, almeno, nel calcio italiano e non nelle spogliatoio del Milan. Se funzionasse, non si sarebbe assistito allo stillicidio di baruffe pubbliche: dal cooling break dell'Olimpico alle ribellioni dei sostituti (l'ultimo Calabria), passando per l'ammutinamento di Firenze e dalla scelta ripetuta di Fonseca di mettere in piazza tutti i problemi anziché tenerli a Milanello.

Seconda: la solitudine non fa bene all'allenatore portoghese al quale servirebbe una spalla su cui convogliare almeno parte delle frustrazioni prima di portarle in pubblico. Terza: su molti temi Ibrahimovic e, per deduzione la proprietà e la società, non la pensano come il tecnico a partire dalla guerra agli arbitri. Prima il presidente Scaroni e poi Ibrahimovic ne hanno sconfessato parole e linea al netto dei tentativi di accreditare l'unità di intenti tra club e tesserato dopo Bergamo.

Quarta: Ibrahimovic è convinto di aver affidato a Fonseca una squadra più forte di quella arrivata seconda un anno fa con Pioli. Non significa una squadra certamente da scudetto, ma di sicuro la piega presa dal campionato (-9 dalla zona Champions League) non piace e viene addebitata prima di tutto all'allenatore. Quinta: pensare di vivere altri sei mesi in queste condizioni è irrealistico. Lo sfogo post Stella Rossa ha strappato il velo e reso necessarie correzioni allo schema. Non (solo) di gioco, ma di funzionamento della parte sportiva milanista.

Post scriptum - Grande solidarietà a chi gestisce la comunicazione a Casa Milan. Per la seconda volta in due mesi si è visto smontare dagli stessi protagonisti la versione fatta circolare a taccuini chiusi. E' accaduto per l'attacco agli arbitri a Bergamo. In precedenza per il cooling break trasformato nell'arco di una mattinata da episodio su cui i dirigenti - Ibrahimovic al telefono perché assente all'Olimpico - erano intervenuti immediatamente, a semplice "non evento". Così non è facile per nessuno.

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