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Agente penitenziario del carcere Due Palazzi condannato per violenza sessuale

Nove anni di reclusione per violenza sessuale, per aver insidiato in più occasioni la figlia di una collega di lavoro. È la pena alla quale è stato condannato un agente della polizia penitenziaria (L.M. 50 anni) in servizio al carcere Due Palazzi. La collega di lavoro non è un’agente penitenziaria, ma un’inserviente della pizzeria da asporto dell’Arcella, di proprietà della moglie dell’uomo. L’agente era rimasto in malattia per molto tempo; in realtà andava a lavorare nel negozio della moglie, a sfornare pizze. Una condotta truffaldina che gli è costata una condanna ad un anno e 6 mesi, diventata definitiva dopo una sentenza della Cassazione.

Nel 2016 aveva totalizzato 300 giorni di assenza; nel 2017 ben 112 giorni, infine altri 6 giorni tra gennaio e febbraio 2018, anno in cui la procura aveva aperto l’indagine; la moglie tra il febbraio 2016 e il giugno 2017 era rimasta assente dall’azienda per 21 giorni dal suo posto di lavoro.

Pure lei infatti era finita nei guai per le assenze dalla ditta dove lavorava ed è stata già condannata a 10 mesi di reclusione. Truffa aggravata, falso ideologico e violazione della legge sul pubblico impiego le accuse contestate a vario titolo ai due.

Proprio in quei periodi L.M., lavorando nel locale con la moglie, conosce l’inserviente assunta in pizzeria. La figlia adolescente della donna è a scuola con la loro figlia e l’agente penitenziario si offre spesso di portare a casa la ragazzina.

Una gentilezza, considerato che sua mamma è spesso impegnata con il lavoro. Ma a un certo punto la donna nota in sua figlia un cambio di atteggiamento verso l’uomo e intuisce che qualcosa di grave potrebbe essere accaduto. Prova a parlarle, a raccogliere qualche confidenza.

E scopre che quando quell’uomo la portava a casa, con una scusa, si spogliava e si stendeva nel letto e invitava la ragazzina adolescente a toccarlo nelle parti intime.

Accuse che sono state ritenute credibili dopo l’audizione in ambiente protetto della minore. Tanto da spingere il pubblico ministero a chiedere 7 anni di carcere per l’agente penitenziario e il giudice a decidere un inasprimento della pena, arrivando a determinarla in 9 anni. Una condanna pesante che, se confermata in terzo grado, spalanca le porte del carcere all’uomo, già con alle spalle una pena definitiva. Da guardia carceraria a detenuto.

L’inchiesta era stata coordinata dal pm Sergio Dini che aveva aperto vari accertamenti sui certificati finti presentati da alcuni agenti i quali, simulando malattie, facevano tutt’altro.

Di regola i certificati erano firmati dal medico di base che in questo caso è risultato estraneo alla vicenda penale. Non poteva sospettare che il suo assistito in malattia andava a lavorare nella pizzeria della moglie. Infatti nell’accusa non era contestato che i certificati medici fossero falsi, ma si puntava sul fatto che invece di rimanere a casa in malattia andasse a lavorare, percependo pure un secondo reddito.

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