Redaelli: «Go!2025 è poco nota nel resto d’Italia. Serve più promozione per farla scoprire»
La necessità di fare più promozione per Go!2025, con l’Arcidiocesi pronta a dare una mano. Ma anche un appello al Comune affinché contribuisca a dare una sistemazione notturna ai richiedenti-asilo costretti a dormire all’addiaccio. Infine, un riferimento, dall’alto peso specifico, al caso-moschea che domina il dibattito politico a Monfalcone.
È un’intervista a 360 gradi quella all’arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli.
Eccellenza, la cittadinanza sembra manifestare una certa freddezza nei confronti di Go!2025. Saremo pronti per l’appuntamento della Capitale europea della cultura?
«Viviamo, a livello generale, un periodo storico di incertezze e di preoccupazioni. La sensazione è che ci sia meno trasporto e meno attesa anche per il Giubileo 2025. Credo sia dovuto alla crisi d’identità dell’Europa che sembra impegnarsi più per le armi che per la coesione e la collaborazione. Poi, c’è un altro aspetto».
Quale?
«Io sono spesso a Roma ma anche in altre città d’Italia visto il mio ruolo di presidente di Caritas italiana e ho constatato, purtroppo, che pochi sono a conoscenza che il prossimo anno Gorizia sarà, assieme a Nova Gorica, Capitale europea della cultura. È un vero peccato. Bisognerebbe trovare una qualche forma di promozione più incisiva per far conoscere l’evento perché, alla fine, coloro che vengono in visita a Gorizia ne rimangono estasiati. Qui, i luoghi parlano di storia e di cultura. Mi auguro davvero che quest’area, così bella e così significativa, sappia cogliere l’occasione».
Com’è il rapporto con il Comune?
«Buono. Noi cerchiamo di contribuire alla riuscita di Go!2025. E posso annunciare che, l’anno prossimo a settembre, verrà qui il Consiglio episcopale permanente e ci sarà un incontro anche con i vescovi sloveni. Poi, vorremmo dare una mano nell’accoglienza dei gruppi e dei giovani coinvolgendo il mondo scout, visto il problema della scarsa ricettività cittadina. L’idea nostra è anche quella di promuovere incontri di alto livello per riflettere, proprio qui, sui valori originari dell’Europa e dare vita a delle piccole pubblicazioni per far conoscere meglio e di più Gorizia. A fine gennaio, infine, presenteremo un programma a livello artistico e promozionale legato ai temi della Pace e del confine».
Quale può essere la vocazione di Gorizia?
«Mi piacerebbe diventasse la “città della Pace”, costruendo anche dei percorsi turistici. Abbiamo il Museo della Grande Guerra, il Sacrario di Oslavia, la Sinagoga, piazza della Transalpina, le trincee sul Carso. È da qui che deve essere lanciato il messaggio della convivenza e della collaborazione».
La città è un cantiere. Compresa piazza Transalpina, luogo simbolo della collaborazione...
«Ci vuole pazienza. E mi auguro che un pezzo di rete, a memoria del passato, venga risistemato in quell’area. Sarebbe un peccato lasciare quella testimonianza storica in qualche magazzino perché il suo valore è altamente simbolico».
Il sindaco ha dichiarato che il suo sogno è quello di avere qui Papa Francesco per Go!2025. Si sta muovendo qualcosa?
«Posto che il Papa decide dove andare, noi ci stiamo lavorando. E assieme al vescovo di Capodistria Peter Štumpf, vicepresidente dei vescovi sloveni, gli invieremo un invito formale. Dobbiamo trovare il modo di affascinarlo all’idea di venire qui».
Certo è che la sospensione di Schengen non sembra andare d’accordo con lo spirito della Capitale europea della cultura. Che ne pensa?
«Sospendere Schengen, pur in presenza di controlli limitati per i frontalieri, può contribuire a lanciare un segnale di sfiducia. Della serie: qui si esalta la collaborazione con Go!2025 ma, al tempo stesso, i confini vengono ripristinati».
Passiamo al tema del disagio sociale e della povertà in crescita. Qual è la condizione dei cittadini isontini?
«Il fatto che abbiamo appena aperto un nuovo Emporio della solidarietà (si riferisce a Cormòns) fa capire che la richiesta di aiuto sale. Purtroppo. Da una parte, ci sono aziende che sostengono di non trovare personale, dall’altra i nostri giovani lasciano la città e fuggono altrove. Poi, c’è il fenomeno del lavoro povero e, anche qui, si stanno evidenziando problematiche di tensione abitativa. Si potrebbe lavorare a una forma consorziale che coinvolga l’Anci e i piccoli proprietari affinché vengano messi sul mercato alloggi con un affitto sostenibile. Questo è l’appello che mi sento di formulare».
Situazione richiedenti-asilo. A che punto siamo?
«A Gorizia il piano “Emergenza freddo” è a cura dell’Arcidiocesi. In altre parti d’Italia, è il Comune a fare da collettore, chiedendo alla varie realtà soluzioni per non costringere tutte queste persone a dormire in strada con temperature rigide. Il Comune stesso, qui, spiega che deve dar risposta ai cittadini italiani ma credo non si possa lasciare persone dormire a terra. Noi ci stiamo organizzando con le Parrocchie e con Casa San Francesco. Per fortuna, c’è una certa calma sulla Rotta balcanica».
E il dormitorio?
«È occupato soprattutto da cittadini di nazionalità ucraina scappati dalla guerra, ma bisognerebbe trovare delle forme di inserimento abitativo e lavorativo per quella comunità».
Cosa pensa del dibattito che imperversa a Monfalcone sul caso-moschea?
«La libertà di culto va garantita. È un obbligo costituzionale, proporzionato ovviamente alle singole realtà. Non è facile ma deve esserci, a mio parere, una forma di conoscenza e di responsabilizzazione. Un luogo di culto deve essere garantito. Dopo, che venga individuato e realizzato nell’ex supermercato o in un qualsiasi altro luogo, il discorso non cambia».