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Serve un meridionalismo di destra: il problema del Sud non sono i soldi, ma cosa farne

Detto in generale, quanti si sono curati di questione meridionale erano di cultura liberale o socialista, quindi capivano solo di soldi; e tuttora certi dotti si affannano a calcolare quanti soldi (Pil, Reddito pro capite) avevano in tasca i Magnogreci e i Romani, eccetera. Calcoli quasi sempre meccanicamente ricavati da cifre ufficiali, quindi in buona parte immaginari. Lo stesso dicasi per la demografia, che, sotto gli occhi dei passanti, è palesemente diversa dai numeri degli uffici anagrafe. Non è dunque buon metodo fare meridionalismo con lettura meccanica dei soldi e dei numeri, per studiare il passato, e tanto meno per l’avvenire.

Il fatto che io dubiti dei numeri ufficiali, è un preciso e deciso atteggiamento politico, e non un calcolo aritmetico. Al Sud occorre la politica; e la politica non è una cosa che s’impara sui libri e si gestisce applicando teorie; è conoscere con esperienza diretta la realtà, e intuire – intuire, molto prima di ragionare – le soluzioni. La politica deve individuare cosa e dove e come organizzare la comunità; e anche come produrre, e con quali metodi e con tempi adatti alla natura delle cose. Bisogna rendere obbligatorio lo studio del Vico: “I governi devono essere conformi alla natura dei popoli governati”.

La prima intuizione è che il Meridione non è un Settentrione mancato, come più o meno hanno pensato in tanti cultori del pensiero unico dal XVIII secolo, sognando una qualsiasi settentrionalizzazione: l’ultima e quanto mai disastrosa ai tempi della Prima repubblica, disseminare il territorio di orrende cattedrali nel deserto, di fasulle industrie e che mai lavorarono, e anche nel conato di creare quello che mai ci fu, cioè una classe operaia marxiana e comtiana; in un Meridione dove ogni artigiano era anche contadino e allevatore… e in caso, molto improbabile, di lotta di classe sarebbe stato costretto a scendere in piazza… contro se stesso o la moglie professoressa o medico. Alla fine, abbiamo, a Sud, tutti i difetti del Nord, persino il traffico e l’inquinamento, senza gli umili ma solidissimi pregi della Valle Padana.

Per fare ciò, e molto altro, occorre una classe politica, un bene di cui il Meridione è stato spessissimo carente. I nostri feudatari erano dei proprietari terrieri non molto più istruiti e raffinati dei loro cafoni, e a nessuno di loro, cafoni e duchi, importò spendere per pagare un poeta o tagliapietre e farsi inventare una genealogia e scolpire una statua. Quando poi a loro succedettero i borghesi, si misero a scopiazzare i giacobini franciosi, sperando facessero un miracolo ovviamente impossibile, e che, infatti, mai avvenne. Penso dunque a una classe politica selvatica, nata nella politica… e, per dirla come quando eravamo ragazzini, più di mezzo secolo fa, nelle sezioni e nelle piazze.

Per che fare? Tante cose, ma, confidando di poter continuare il discorso, la prima rivoluzione di cui qui parlo è un bel ritorno indietro: una Regione sola in tutto il Meridione, con gli attuali Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, 11.500.000 anime, e un territorio di 62.773 kmq; io la chiamo Regione Ausonia, però il nome è l’ultimissimo dei problemi. È una specie di federalismo? E non sarebbe scandalo, in un mondo dove ci sono gli Usa e la Germania e la Gran Bretagna è un Regno Unito… Tutti quelli che hanno pensato all’Italia unita, non la pensarono mai unificata. L’unità non è burocratica piramide; e il centralismo è roba per giacobini. E del resto, le regioni non esistevano, prima che nel 1861 qualche burocrate non ne tracciasse, spesso a fantasia e vaghe reminiscenze scolastiche, i confini; che nel 1970 vennero presi come fossero frutto di millenaria storia.

La Regione Ausonia avrebbe la consistenza per affrontare con successo la novità traumatica, l’autonomia. E, con buona probabilità, mostrerebbe un netto miglioramento della finora non certo eccellente qualità di politici e funzionari. Tantissimi i vantaggi di analisi e progettazione; ma, per restare nel tema, ora me ne basta uno: una netta scrematura del numero dei consiglieri regionali e passacarte vari. Il problema del Meridione non sono i quattrini bruti ma cosa farne. Se contassimo quanti soldi ha ricevuto dai tempi della Cassa a oggi da Italia ed Europa, la mia Calabria dovrebbe essere lastricata d’oro con lapislazzuli; e invece è, ufficialmente (con riserva, vedi sopra le statistiche!), l’ultima delle regioni europee. Il problema del Sud è come utilizzare i soldi: quindi è una questione politica.

C’è un problema di cultura meridionale, da sottrarre ai sognatori di ciò che mai fu e mai sarà; e ai piagnoni di lauta professione; e far sì che si recuperi la storia, quindi la conoscenza effettuale del passato e la progettazione possibile del presente e dell’avvenire. Occorre di nuovo un meridionalismo francamente di destra.

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