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I luoghi della meraviglia

Da Venezia fino a Verona, poi Vicenza con le ville palladiane e l’orto botanico di Padova. Scorci poetici tra le Dolomiti e sulle colline, opere di difesa, affreschi vividi, tracce custodite dall’acqua.


Li si ammira alzando gli occhi verso l’alto o immergendosi sott’acqua, camminando in mezzo alla bellezza o respirandone l’intensa immensità. Racchiudono storie, memorie di un tempo antico che è rimasto, nei secoli, splendidamente intatto. Sono i luoghi della meraviglia, i siti del Veneto parte del patrimonio materiale mondiale dell’umanità secondo l’Unesco. Rappresentano «l’eredità del passato di cui noi oggi beneficiamo e che trasmettiamo alle generazioni future… Una fonte insostituibile di vita e ispirazione» spiega, con comprensibile enfasi, la celebre organizzazione delle Nazioni Unite. Nella regione se ne contano ben 9 su un totale nazionale di 60. È una preponderanza, un innegabile peso specifico. Una matematica del sontuoso, dell’incredibile ma vero, a cui vanno doverosamente aggiunti i patrimoni immateriali e le riserve della biosfera (vedi gli approfondimenti nelle pagine seguenti), rendendo il Veneto un campione di splendore multiforme.

Raccontare i 9 siti è a sua volta un itinerario, un’esplorazione che comprende una pluralità di elementi: altitudini e mondi sommersi, storia e cultura, natura e città. Dalla dimensione urbana è opportuno partire, chiamando in causa un’icona globale, l’intramontabile Venezia, fulcro di romantiche suggestioni, di un legame inscindibile con l’acqua. Tutta la Laguna, il sistema di isole che la compone, sono «un eccezionale sito archeologico ancora animato di vita», «un ponte tra l’Oriente e l’Occidente». C’è poi Verona, con i suoi resti romani, le porte monumentali e le fortificazioni, gli incroci romantici di amori travagliati ma per questo indimenticabili (Romeo e Giulietta, si sa, non moriranno mai), l’Arena che ingloba fisico e intangibile: è architettura e insieme culla dell’ingegno e della voce umana, quel canto lirico altrettanto tutelato dall’Unesco.

A Padova, all’interno dell’università, si estende un orto botanico creato nel 1545: «Il più antico del mondo occidentale che conservi la sua forma e ubicazione iniziale». Un record di resistenza, giustamente premiato e non solo per meriti di longevità: ha contribuito ai progressi della medicina grazie alle piante officinali coltivate nel suo perimetro verde.

Ben 23 palazzi di Vicenza e 24 ville nobiliari nel territorio circostante, opere mirabili di Palladio, architetto vissuto per buona parte del 1500, combinano il gotico veneziano con un classicismo ispirato all’architettura romana. Sono case che sembrano templi, arricchite con scalinate monumentali e circondate da vasti e ariosi portici. Ammirarle, ancora oggi, ne trasmette quell’equilibrio tra centro di potere e luogo di svago. Tra volontà di potenza e bisogno, tutto umano, di evasione. Se nelle ville lo sguardo si concentra, si focalizza sui dettagli, tra le Dolomiti si smarrisce, si tuffa nel luccichio del bianco, si abbandona a «una vasta gamma di colori dovuta ai contrasti tra le morbide fasce verdi dei boschi e delle praterie e le cime rocciose, estremamente varie sia per forma che per componenti» come si legge nel sito ufficiale dell’Unesco.

Se le montagne, ora più spigolose ora arrotondate catturano l’immaginazione e producono un ubriacante stordimento, lo stesso fanno le Colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, frizzanti come il nettare che producono; geometriche – ma con licenza d’estro – come i filari di viti in orizzontale e verticale che corrono sulla loro superficie, celebrando l’avvicendarsi delle stagioni, la ciclicità inesausta e inesauribile del tempo.

Tali luoghi sono l’epitome dell’armonia tra la generosità della natura e l’intervento dell’estro umano. Che trova la sua apoteosi, in un misto di creatività e savoir-faire, di fantasia e precisione, nei cicli affrescati del XIV secolo di Padova: otto complessi di edifici con al loro interno dipinti realizzati da diversi artisti, accomunati da un’unità di stile e contenuto. Una sorta di pennellata corale. Il riferimento è senz’altro la Cappella degli Scrovegni di Giotto, ma è l’inizio di un percorso nel calore del colore, non un mero approdo.

Completano questa ricca rassegna due poli di grande interesse antropologico. Il primo sono i siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino, un fedele fermo immagine del passato: mostrano com’era la vita nelle prime società agrarie in Europa tra il 5.000 e il 500 prima di Cristo. Il loro ingrediente segreto è l’essere sommersi: trovandosi sott’acqua, si sono conservati meglio nel tempo. Così è possibile studiarli, anche grazie a tecnologie di ultima generazione. L’ultimo sito sono le opere di difesa veneziane tra il XVI e il XVII secolo, le prove di resistenza dalla Repubblica di San Marco, la Serenissima. Che era tale anche perché riusciva a proteggersi dalle minacce esterne ai suoi traffici costieri. Se questo patrimonio fortificato dell’umanità è arrivato fino a noi, se ancora oggi possiamo viverlo e celebrarlo, è anche per il suo intuito pioneristico, per quella capacità di strategia nel preservare il suo bene più prezioso: la sua unicità.

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