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Le maschere del potere indicano doppiezza e falsità. Ma arriva il giorno in cui cadono

Non c’è nulla di assolutamente autentico a questo mondo. La cosa da capire non è se siamo con una maschera o senza, ma il tipo di maschera che indossiamo. L’intera storia della civiltà si fonda sulla fabbricazione e sulla sostituzione di maschere. (Alexander Zinoviev, filosofo e dissidente russo)

Certo l’uso e il senso delle maschere cambia a seconda delle culture. Ad esempio in alcune etnie dell’Africa Occidentale la maschera diventa un simbolo di presenza e potenza spirituale, qualcosa di sacro che unisce il visibile e l’invisibile nelle cerimonie rituali. Altrove nel mondo la maschera si usa nelle rappresentazioni teatrali e in genere per nascondere e rivelare allo stesso tempo altre identità. Spesso diventa sinonimo di doppiezza, falsità, commedia o semplicemente di un gioco delle parti. In alcune culture le maschere sono le protagoniste della festa di carnevale.

Quanto scrisse Alexander Zinoviev va dunque interpretato nella seconda versione citata sopra e si capisce molto bene, sotto tutte le latitudini, ciò di cui sta parlando. La falsità, la doppiezza, il trasformismo, le promesse che impegnano solo coloro che le ascoltano… di tutto ciò e molto altro sono portatori i regimi politici e le ideologie, anche religiose, che affollano la storia umana.

Zinoviev, che ha vissuto in esilio in Germania, ha sviluppato una critica spietata nei confronti dell’Occidente che pure lo aveva accolto con le braccia aperte non disinteressate a suo tempo. Per lui il punto non è se si indossa o meno una ‘maschera’ ma piuttosto il ‘tipo’ di maschera che addobba il volto. L’amico Steven Ellis, prematuramente deceduto, scrisse un libro in relazione alla guerra civile in Liberia dal titolo ‘La maschera dell’anarchia’, sull’accaduto dei 15 anni di distruzione e morte in quel Paese.

Invece, qui come anche altrove, si parlerebbe piuttosto di ‘Maschere del potere’ ossia della costante, studiata e pianificata falsificazione della realtà. Si tratta di un progetto che accomuna ogni ideologia o progetto sociale che si vuole totalitario cioè mirato ad impadronirsi dell’identità della persona e della società per farla a sua immagine e somiglianza. Per questo Zinoviev parla di ‘fabbricazione e di sostituzione’ di maschere qualora ciò si renda necessario per il regime al potere.

Il dominio sull’informazione appare cruciale perché specie oggi esiste solo ciò che appare sugli schermi, grandi o piccoli che siano, o sulle onde delle radio. Il controllo delle notizie si avvale di giustificazioni ideologicamente motivate dall’adeguamento della realtà a quanto forma il mondo del potere. Coloro che influenzano il pensiero e la pratica del popolo sono temuti e se possibile arruolati al sistema di pensiero unico del sistema. Non casualmente i capi religiosi, assieme ad altri intellettuali, artisti o membri della società civile, saranno oggetto di particolare cura e ricompensa.

Ma la maschera della falsità si indossa anche in altri ambiti come la politica, l’economia, la gestione della sicurezza e soprattutto nell’uso della parola. Quest’ultima vale e conta tanto quanto è funzionale al progetto totalitario del regime. L’involucro esterno delle parole non corrisponde più al significato di cui esse sono portatrici. L’uguaglianza, la giustizia, i diritti umani, la libertà e la dignità sono termini il cui contenuto varia a seconda delle convenienze e della funzionalità al progetto di società che vuole instaurare.

Tutto ha però un limite che è dettato dalla realtà stessa che, come sappiamo, è ostinata, insistente, pericolosa e fastidiosa. Soppressa o nascosta da una parte rispunta dall’altra, perché mai totalmente controllabile e manipolabile dal sistema. Malgrado tutti i patetici tentativi dei regimi totalitari essa sfugge da un’unica spiegazione, lettura e asservimento. Arriva il giorno nel quale, talvolta senza alcun preavviso, le maschere cadono e il volto del potere appare nella sua nuda e menzognera verità.

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