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Il sogno (impossibile) del “patriarcato rosso”, classista e misogino? Una Meloni zitta e buona

Urlano tutti, tutti possono urlare, ma Giorgia Meloni no. Vietato alzare la voce, metterci passione, a Meloni vengono misurati pure i decibel, il movimento della fronte, il taglio dello sguardo. Gli altri sì, lei no. Deve essere un leader silenzioso. Pure quello. Il tema, che può sembrare paradossale, si presenta ogni volta che la premier parla a una platea: ad Atreju come durante le comunicazioni alle Camere, soprattutto nella parte delle cosiddette repliche. Non vale il doppio registro per lei, ce ne deve essere uno solo: un presidente del Consiglio deve sussurrare. Anche se la preferirebbero muta.

Lasciamo perdere i titoli dei giornali amici del Pd e di sinistra sull’hate speech di Meloni, perché per loro è “linguaggio d’odio” sempre e solo quello ogni discorso che viene da destra, mai il loro: derubrichiamola come propaganda spicciola. Concentriamoci sul tono della voce. Non è istituzionale, dicono. E allora andiamo a memoria: i leader non urlano mai? Ecco no, i leader urlano tutti, alzano la voce, si infervorano. E allora? E allora, banalmente, da anni – soprattutto ora che Meloni è premier – bisogna insistere sulla narrazione per cui Meloni è – copyright Francesco Merlo su la Repubblica – “la reginetta di coattonia”.

Così, un “non argomento” buono per non parlare delle cose concrete, fuffa perbenista da “signora mia, non si fa”, diventa arma di narrazione politica. Che nasconde però due cose, a loro insaputa: il classismo e una misoginia diffusa. Il classismo, motivo per cui la sinistra non vince una elezione democratica da anni è che tutto ciò che odora di popolo – come direbbe Del Debbio – a loro, diciamocelo, fa un po’ schifo. Meloni non è élite, salotto, non ha sangue nobile da post-comunista e quindi è per definizione “che volgarité”, alla Carla Bruni imitata da Fiorello. E poi, sì, c’è quella misoginia che dinanzi alla Meloni l’uomo di sinistra può liberare, a mo’ di rutto libero fantozziano guardando la partita in tv.

Pure a Elly Schlein viene perdonato, l’acuto. Perché è dei loro e perché, in fondo, leader non è. Eppure, per il resto, Conte – poteva da premier – può diventare paonazzo e perdersi varie “t” e “d” mentre urla, Landini rompere i bicchieri di cristallo con i suoi acuti intervallati da qualche slogan, e così via via gli altri uomini, ma Meloni no: è volgare. Tutti i leader del mondo possono, Meloni no.

Un uomo che si prende la scena alzando i decibel è forte, mostra la sua leadership, è deciso, gliele ha dette in faccia. Ma la leader donna – di destra – no, perché è donna. In quanto donna. Diventa intollerabile perché di destra. Le donne devono stare buone, che i Prodi ottantenni potrebbero svegliarsi dal sonnellino forse. Le donne non devono fare come gli uomini. Cosa che dovrebbe essere contenuta in chissà quale galateo “petaloso” intrinsecamente anti-femminista. Poco democratico, molto segno di un patriarcato che nella loro testa – e nei loro giudizi – esiste. Rosso, come i loro pensieri.

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