Il nuovo bluff di Hamas sugli ostaggi
Il recente ottimismo che circondava i negoziati sul destino degli ostaggi tra Israele e Hamas ha lasciato il posto a una crescente frustrazione, dopo che i funzionari israeliani hanno rivelato ostacoli significativi nei loro rapporti con il gruppo terroristico, in particolare con Mohammed Sinwar fratello dell’ex leader Yahya Sinwar ucciso dalle Forze di Difesa israeliane (IDF) lo scorso 16 ottobre 2024 a Tal as Sultan (Gaza). Anche Mohammed Sinwar ha trascorso diversi anni nelle carceri israeliane negli anni '90 ed è diventato il leader della Brigata Khan Younis di Hamas nel 2005. Israele non ha ancora ricevuto da Hamas la lista degli ostaggi vivi e morti che dovrebbero essere rilasciati nella prima fase di un eventuale accordo per il cessate il fuoco. Secondo il quotidiano Israel Hayom, Hamas sta facendo marcia indietro rispetto alle posizioni più morbide delle ultime settimane:« Hamas sta effettivamente facendo marcia indietro rispetto all'ammorbidimento che ha portato alla ripresa dei colloqui, e sta ancora una volta chiedendo l'impegno di Israele a porre fine alla guerra nell'ultima fase di accordo come condizione per l'attuazione della prima», ha affermato al giornale un alto funzionario anonimo. In tal senso lo scorso 24 dicembre l'ufficio del primo ministro Benyamin Netanyahu ha annunciato il rientro della squadra negoziale dal Qatar «per deliberazioni interne in Israele in merito alla continuazione dei negoziati». Fonti vicine ai negoziati descrivono una situazione di ostruzionismo deliberato. Si sostiene che Mohammed Sinwar, abbia costantemente ingannato i mediatori, bloccando per settimane le richieste relative alle liste degli ostaggi e ritirandosi dagli accordi precedentemente raggiunti. Nulla di nuovo in realtà perché è da più’ di un anno che Hamas gioca su più’ tavoli ritirandosi all’ultimo momento.
Due domande critiche rimangono irrisolte: il rifiuto persistente di Hamas di fornire un elenco degli ostaggi necessari per un rilascio iniziale e i contrasti sul numero di prigionieri palestinesi da scambiare, oltre che sulle condizioni della loro deportazione. I funzionari israeliani ribadiscono che la presentazione di una lista degli ostaggi rappresenta un requisito imprescindibile. L'assenza di questa lista ovviamente, impedisce ogni discussione su altre tematiche controverse. La fine della guerra rappresenta un ulteriore punto di attrito. Sebbene inizialmente Hamas sembrava disposto a mettere da parte questa richiesta per facilitare l'avvio dei negoziati, ora insiste affinché qualsiasi accordo includa un percorso chiaro verso la risoluzione definitiva del conflitto. Secondo quanto riportato questa settimana, i funzionari della sicurezza avrebbero informato privatamente i ministri che l'avvio della prima fase di un accordo potrebbe portare al suo completamento. Tuttavia, mentre i membri del gabinetto si dimostrano sempre più inclini ad accettare i costi elevati di un simile compromesso, restano fermamente contrari a definire la fine della guerra come parte integrante dell'intesa. Come scrive Israel Hayom ci sono anche segnali di progresso: ad esempio è stato raggiunto un accordo per il rilascio degli ostaggi che soddisfano i requisiti umanitari fondamentali e per l'espansione delle misure di assistenza a Gaza. Inoltre, sembra emergere un consenso preliminare riguardo al posizionamento delle forze israeliane in vista di un possibile cessate il fuoco.
Nuovi missili dallo Yemen contro Israele
Intanto gli Huthi continuano a lanciare missili contro Israele e lo scorso 25 dicembre hanno lanciato un altro missile balistico contro Israele, il quarto attacco notturno del genere in meno di una settimana e il quinto che prende di mira il centro di Israele dal 16 dicembre. Gli attacchi sono stati solo gli ultimi di una campagna in cui gli Huthi hanno lanciato più di 200 missili e 170 droni contro Israele nell'ultimo anno. Oltre agli attacchi contro Israele, il gruppo sostenuto dall'Iran ha lanciato missili e droni contro circa 100 navi mercantili nel Mar Rosso, interrompendo una delle principali rotte commerciali globali. Questi attacchi hanno costretto molte portaerei a evitare questa via strategica, causando gravi disagi al trasporto marittimo globale. Sia gli Stati Uniti che Israele hanno colpito i terroristi yemeniti tuttavia, questi continuano a sfidare Israele che a questo punto sta preparando una grossa operazione contro di loro. Martedì scorso il ministro della Difesa Israel Katz ha affermato: «Israele inizierà a prendere di mira i leader Huthi». A lui ha fatto eco un funzionario israeliano che a Times of Israel ha detto: «Gli Huthi stanno commettendo un grosso errore quando continuano ad attaccare Israele. Oggi abbiamo un cessate il fuoco in Libano e combattimenti meno intensi a Gaza e abbiamo l'opportunità di spostare la nostra attenzione e le nostre risorse verso il fronte yemenita, il fronte Huthi. Questo è ciò che stiamo facendo in questi giorni e stiamo anche formulando una risposta insieme ai nostri alleati guidati dagli Stati Uniti e, quando verrà il momento, ci assicureremo che le forze Huthi paghino». Ma occorrerà uno sforzo straordinario perché la storia insegna che contro nemici potenti, gli Huthi hanno dimostrato di essere resilienti. Esattamente come in Afghanistan, il territorio montuoso dello Yemen è una risorsa preziosa per i gruppi di guerriglia che affrontano attacchi aerei e nel corso degli ultimi anni hanno imparato ad adattarsi alle campagne aeree. Per distruggere la capacità bellica degli Huthi nelle loro pubblicazioni finiscono sempre con «Dio è il più grande, morte all'America, morte a Israele, una maledizione sugli ebrei, vittoria all'Islam», servirà uno sforzo congiunto tra Israele, gli Stati Uniti e i loro alleati regionali uno su tutti l’Arabia Saudita. Ma per questo probabilmente bisognerà attendere il prossimo 20 gennaio l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
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