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Il 2025 in America Latina arriva nel segno di Donald Trump

Il 2025 in America Latina arriva nel segno di Donald Trump. Sì, perché se negli ultimi anni gli Stati Uniti d’America sono stati percepiti come quasi assenti nella regione, le dichiarazioni belligeranti dell’iniziatore del movimento MAGA (Make America Great Again) delle ultime settimane fanno intendere che ci sarà una forte sterzata. Il punto principale riguarda ovviamente le migrazioni, con le promesse di Trump di massivi rimpatri, detenzioni e “fortificazione” della frontiera sud. In questo senso il governo della neoeletta Claudia Sheinbaum ha annunciato la necessità di dialogare con altri paesi della regione per poter coordinare una risposta congiunta e un piano di accoglienza delle persone migranti che saranno deportate. La rappresentante del partito Morena ha inoltre sottolineato che il Messico è pronto a farsi carico dei propri cittadini che eventualmente verranno espulsi nel 2025 dopo l’implementazione delle politiche del “tycoon” statunitense.

Un altro punto di frizione tra Usa e Messico arriva anche dall’intenzione di Trump di dichiarare i cartelli del narcotraffico messicani come organizzazioni terroristiche, un titolo che implica la possibilità di un più ampia operatività dello “Zio Sam” per combatterle. In questo senso però le parole di Sheinbaum sono state chiare: “Collaboriamo, ci coordiniamo, lavoriamo insieme, ma non ci subordineremo mai. Il Messico è un paese libero, sovrano e indipendente e non accettiamo interferenze. È collaborazione, è coordinamento, ma non è subordinazione. Così è come costruiremo la pace”.

Spostandoci dal fronte Messico (che sarà importante anche nella scacchiera della guerra commerciale tra Usa e Cina), poco prima di Natale Trump, dal palco di una convention di ultra conservatori, ha lanciato una forte arringa contro Panama. Nello specifico il prossimo presidente Usa ha espresso una forte insoddisfazione per i pedaggi elevati che, secondo lui, le compagnie di navigazione statunitensi devono pagare per attraversare il canale interoceanico. A 25 anni dalla consegna dell’amministrazione del Canale da parte degli Usa al governo in Panama (secondo quanto stabilito dal trattato Torrijos-Carter del 7 settembre 1977) sembra riaprirsi una questione che già costò molte (troppe) vite. Alcuni analisti asseriscono che le ben poco velate minacce a Panama da parte di Trump rispondano ad un forte (e reale) preoccupazione della sempre più massiccia presenza cinese nell’istmo. Dall’altro lato però le pressioni rispondono anche al fatto che Panama, con il corridoio del Darién, risulta essere il punto di accesso al Centroamerica: la rotta terrestre dalla quale passano la maggior parte delle persone migranti che cercano poi di arrivare all’American Dream.

Il primo forte segnale di un cambio dei flussi migratori nel Darién si è avuto già in questo mese di dicembre, dove l’ombra dell’insediamento a gennaio di Donald Trump come il 47esiamo presidente Usa ha provocato un calo del 41% del transito di persone migranti. Panama sarà dunque al centro dello sguardo della Casa Bianca e in questo senso la nomina di Kevin Marino Cabrera come prossimo ambasciatore Usa a Panama è molto chiara: non un diplomatico tradizionale ma una specie di “soldato politico” che avrà la missione di rinvertire quelle Trump chiama “tariffe di transito ridicole” e la “eccessiva influenza cinese”.

Allineato con Trump sembra invece essere Javier Milei (suo fan dichiarato) che nel mese di novembre ha partecipato alla gala del America First Institute, a Mar-a-Lago. Nel breve incontro avvenuto tra i due, il leader repubblicano si è congratulato con il presidente argentino per il gran lavoro svolto nel suo Paese, esortandolo a “rendere di nuovo grande l’Argentina”.

Altro dossier importante per Trump riguarda il Venezuela. Il 10 gennaio è prevista l’assunzione dell’incarico presidenziale e tanto Maduro quanto Edmundo Gonzaléz Urrutia “scaldano i motori”. Trump è molto più vicino all’opposizione guidata da Maria Corina Machado, ma il suo pragmatismo in politica internazionale è ben noto: in questo senso il petrolio venezuelano è un asset dal quale sembra difficile prescindere e oggi chi può garantire quel petrolio è Maduro. Insomma fin da queste prime batture sembra che in questo nuovo mandato presidenziale Donal Trump presterà più attenzione a quello che una volta veniva definito come “patio trasero” degli Usa, per lo meno in tre grandi ambiti: migrazione, economia e organizzazioni criminali.

E proprio in questa direzione va la nomina del cubano-statunitense Mauricio Claver-Carone come l’uomo che rimetterà ordine nella regione. Un volto noto per chi legge questo blog, un pezzo importante della scacchiera trumpiana, caduto in disgrazia dopo la sua destituzione dalla carica di presidente della Banca interamericana di sviluppo (BID) per la sua relazione con una dipendente. Claver Carone sarà il nuovo inviato Speciale del Dipartimento di Stato Usa per l’America Latina, un incarico che lo vedrà occupato con vari dossier impolverati e con la necessità di tornare a tessere accordi e alleanze in una regione frammentata, polarizzata, violenta e dove Cina e Russia hanno aumentato la loro presenza geostrategica, economica e militare.

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