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Non solo Sednaya: ecco le prigioni più dure della Siria. “Isis può sfruttare le divisioni nel Paese per creare il caos”

Il popolo siriano ha il diritto di vivere in uno stato pluralista, laico e che tuteli i diritti fondamentali dell’individuo. Questo è il mantra che si ripete da quando l’ex presidente Bashar al-Assad ha lasciato il Paese dopo che le forze ribelli hanno conquistato Damasco. In questo scenario, la famigerata prigione di Sednaya – i cui detenuti sono stati liberati poco dopo l’ingresso degli oppositori nella capitale – è diventato il simbolo di un regime che ha afflitto il suo popolo per oltre 50 anni. Ma non è l’unica. Tanto che adesso uno dei timori che affligge la nuova leadership è che gruppi estremisti come lo Stato Islamico possano utilizzare questi centri di detenzione come serbatoi per nuove rivolte. Secondo quanto riportato da Aaron Zelin, direttore del progetto Islamic State Worldwide Activity Map, il gruppo potrebbe sfruttare l’attuale frammentazione del potere per rendere sempre più instabili una serie di campi e centri di prigionia dove, da diversi anni, sono detenuti centinaia di migliaia di affiliati, tra cui donne e bambini.

Molti di questi luoghi si trovano nella zona nord-orientale del Paese sotto il controllo delle Forze Democratiche Siriane (SDF) a maggioranza curda. Secondo un report pubblicato da Amnesty International nell’aprile del 2024, le autorità autonome nel Nord-Est della Siria hanno dichiarato di detenere nei campi e centri di detenzione circa 56mila persone. In questo contesto, di particolare interesse è il ruolo rivestito dal Pentagono: “Il Dipartimento della Difesa statunitense ha infatti fornito centinaia di milioni di dollari alle SDF e alle forze di sicurezza affiliate. Così la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha contribuito al processo di screening di queste persone raccogliendo i dati biometrici di ogni detenuto nel sistema”, si legge nel report. Sempre Zelin riporta ci siano campi e centri anche nelle zona centro-settentrionale del Paese controllate dalla coalizione di gruppi pro-Turchia Syrian National Army, in particolare intorno a Ras al-Ain e Tal Abyad. Diventa quindi fondamentale conoscere la mappa dei campi di detenzione più pericolosi, sapere chi li gestisce e chi vi è recluso affinché non diventino una bomba pronta a distruggere la nuova, ma precaria, stabilità della Siria.

AL KASRAH Al-Kasrah è soprannominata “la piccola Sednaya”. Un informatore, che ci lavorava quando la struttura tratteneva persone sospettate di affiliazione allo Stato Islamico, ha confermato ad Amnesty i metodi di tortura inflitti ai detenuti: “Alcuni dei testimoni dicono di essere stati soggetti a scosse elettriche. In un caso documentato, le guardie hanno coperto il viso del detenuto con un asciugamano bagnato in modo che si sentisse come se stesse annegando”. Si tratta della pratica vietata del waterboarding. Amnesty ha inoltre documentato che, in diversi casi, le forze di sicurezza hanno trasferito i detenuti nella prigione di Deir ez-Zor.

AL-SINA – Amnesty ha ottenuto l’accesso al centro di detenzione Panorama sotto il controllo delle SDF nell’agosto del 2023. In quel momento, nella struttura erano detenute quasi 4mila persone, compresi diversi minori. “Il mancato accesso a cure mediche e sanitarie adeguate ha portato allo sviluppo di una grave epidemia di tubercolosi”, si legge nel report dopo la visita dell’organizzazione non governativa. “Nel marzo 2024, le autorità carcerarie hanno affermato che quasi 600 detenuti sono morti a causa della tubercolosi e di altre malattie da quando è stato creato il centro di detenzione”.

SINI -Sempre gestito dalle SDF, Sini è costituito da diversi edifici in un unico complesso. Amnesty ha intervistato una serie di ex detenuti del centro. Le loro testimonianze sono risultate coerenti nel rivelare un luogo di brutalità sistematica: “I detenuti sono stati sottoposti ad abusi fisici, umiliazioni e privazione dei loro bisogni primari, tra cui cibo, acqua e cure mediche. Queste pratiche hanno portato alla morte di centinaia di persone che sono sepolte in una fossa comune all’interno del carcere – si legge – Secondo le SDF, nel 2023 erano ancora 800 circa i detenuti rimasti”.

AL HASAKAH – Al Hasakah è gestita dalle Unità di protezione delle donne (YPJ) affiliate alle SDF. Amnesty ha appreso che quando le donne commettono infrazioni nei campi di detenzione vengono portate ad Al Hasakah per un periodo compreso tra i tre e i sei mesi. Si legge: “Sembra non esistere un meccanismo per rintracciare le persone quando vengono trasferite. Ad esempio, quando le donne vengono portate in prigione dai campi dopo essere state sorprese con un telefono illegale, sembrano scomparire, con o senza i loro figli”.

AL HOL E ROJ – Fondato nel 1991 come campo per rifugiati iracheni in fuga dalla prima guerra del Golfo, Al Hol – come Roj fondato invece nel 2016 – è oggi diventata una prigione a cielo aperto. Le persone confinate nei campi – dopo la battaglia di Baghouz del 2019 – non possono avere contatti con l’esterno come riportato da Medici Senza Frontiere che fornisce assistenza sanitaria nel campo. A dicembre 2023 si stima che Al Hol contenesse circa 44mila persone considerate affiliate allo Stato Islamico, Roj circa 3mila.

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