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MANCINI: “Un trauma l’addio di De Rossi. Con Juric uno stravolgimento a cui non eravamo pronti. Io via? Non ci penso proprio…”

ULTIME NOTIZIE AS ROMA – Vicecapitano, leader e uomo derby. A due giorni dalla stracittadina con la Lazio Gianluca Mancini, colui che ha deciso l’ultimo derby dello scorso 6 aprile, si è raccontato in esclusiva a Il Tempo (F. Biafora) ripercorrendo le tappe del 2024 e guardando al futuro in giallorosso.

Il 2025 inizia con il derby, quali sono le sensazioni in vista di questa partita?
Ormai è tanti anni che sto a Roma, è una partita particolare. Non c’è un avvicinamento diverso per ogni derby, ma è una settimana particolare, si sente subito dagli allenamenti, è nei pensieri da quando ti svegli fino ad andare a letto. Durante la giornata fai una cosa e pensi “devo stare attento, c’è il derby”. Ti fa vivere una situazione diversa e l’avvicinamento alla partita ti porta carica e voglia di far bene.

Nell’ultimo derby ha esultato con una bandiera della curva e si sono scatenate polemiche. Che accoglienza si aspetta?
Se ci saranno fischi saranno normali. Quando sei in campo non ci pensi. Anche nei derby precedenti c’è stato un po’ di accanimento nei miei confronti, c’è sempre stato questo sentimento ma la vivo in maniera serena. Anzi, mi dà quella carica in più di stare concentrato.

Come ci arriva la squadra?
Il mister è arrivato e ha portato quella serenità che purtroppo in questo fine 2024 era venuta a mancare e lo si vedeva in campo nelle partite, durante la settimana e a livello personale, anche quando tornavi a casa. Mi sentivo nervoso, sapevo che non stavo facendo bene il mio lavoro e l’aria dentro lo spogliatoio era pesante. Il mister è arrivato e ha portato serenità. Già guardandolo e vedendolo arrivare dentro lo spogliatoio ci ha fatto buttare un po’ giù la tensione e l’aria adesso è positiva. A parte lo scivolone che abbiamo avuto a Como, abbiamo fatto delle partite buone e ci sono stati dei miglioramenti sia tecnici che anche a livello di testa.

Il 2024 è stato un anno particolare. Il primo momento difficile è stato l’esonero di Mourinho…
L’esonero del mister è arrivato dopo delle partite che a livello di risultati non ci avevano premiato. Eravamo usciti in Coppa Italia con la Lazio e poi l’ultima è stata la sconfitta con il Milan. Venivamo da un periodo di emergenza a livello di giocatori. Io mi ricordo che stavo male, giocavo perché c’era Smalling infortunato, N’Dicka in Coppa Africa. Insomma, la situazione era quella che era. L’esonero del mister è stato inaspettato. Una mattina sono andato a Trigoria e ci hanno comunicato che non era più l’allenatore. Io l’ho aspettato fino all’ultimo per salutarlo perché non riuscivo ad andarmene via. È stato un saluto abbastanza freddo, eravamo entrambi molto scossi. Però l’ho abbracciato, l’ho ringraziato per quei due anni e mezzo che mi hanno dato una persona e un allenatore splendidi. Nemmeno nei miei sogni da piccolo potevo immaginare di essere allenato da una leggenda come lui. Ma allo stesso tempo poi è arrivato mister De Rossi, che anche lì, in quel momento storico lì, aveva riportato serenità.

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Poi è iniziata l’era De Rossi, finita con un esonero con una sorpresa ancora più grande…
Da quando è arrivato a gennaio e fino alla partita di Leverkusen abbiamo spinto tanto. In tre mesi abbiamo fatto un percorso importante perdendo solo con l’Inter e facendo una rincorsa difficile per il quinto posto che sarebbe valso la Champions. Abbiamo spinto tantissimo ma dopo quella partita ci è caduto il mondo addosso, perché potevamo fare un’altra finale nel giro di tre anni. Dopo Leverkusen eravamo sotto terra proprio, la gente faceva fatica a fare la doccia, ad andarsene dallo stadio. Io fui l’ultimo ad uscire con Pellegrini, il mister e Spinazzola. Siamo arrivati alla fine della stagione un po’ zoppicando, avevamo finito la benzina. Quest’anno siamo ripartiti con il ritiro, con nuovi giocatori giovani e forti, abbiamo cambiato tanto. Con De Rossi c’era un progetto di tre anni e vederlo andare via dopo quattro giornate è stato un trauma per me, per la squadra, per il gruppo, per i giocatori che erano venuti perché era lui l’allenatore, per i ragazzi che c’erano l’anno scorso che avevano dato tutto per lui. Ci sono state delle decisioni societarie sulle quali noi calciatori non entriamo nel merito, perché, sembra una frase fatta, ma i calciatori fanno i calciatori, le scelte le prendono i presidenti. Quel giorno è stato un giorno veramente triste, traumatico per il gruppo.

Ci racconta i retroscena di quei giorni e di quelle riunioni con la società?
Ci sono state delle riunioni con qualche giocatore, però non ci è mai stato chiesto dell’allenatore. Io sono sei anni che sono qua e non mi è mai stato chiesto un parere nei confronti di qualcuno. Abbiamo fatto una semplice riunione dove ci veniva chiesto il motivo per il quale in quelle prime quattro partite avevamo fatto solo tre punti. Ai più esperti era stato chiesto se ci fossero problemi nello spogliatoio anche con i nuovi arrivati. Dopo queste riunioni ci siamo confrontati per capire se a tutti erano state chieste le stesse cose, ed è stato così. Passo più tempo a Trigoria che con la mia famiglia quindi ci deve essere schiettezza nel gruppo, trasparenza, non bisogna nasconderci le cose. Dopo un giorno libero tornammo a Trigoria e mentre stavo facendo le analisi del sangue ho letto sul telefono la notifica che era stato esonerato De Rossi. Siamo rimasti tutti stupiti, ci chiedevamo come fosse stato possibile. Nello spogliatoio tanti nuovi avevano gli occhi spalancati. Noi che stiamo da più tempo qua a Roma abbiamo fatto gruppetto e siamo andati a chiedere spiegazioni, il direttore (Ghisolfi, ndr) e l’ex Ceo ci hanno detto che la decisione era stata presa per il bene della Roma, quello che hanno scritto nel comunicato. Abbiamo detto ai compagni che la decisione era questa e bisognava andare avanti per il bene di tutti e della Roma.

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Poi è stato il momento di Juric. Che impatto ha avuto?
Abbiamo iniziato bene vincendo le prime gare. Juric è arrivato e, come ha detto tante volte lui, ed è la verità, ci ha chiesto come stavamo e noi, schietti e sinceri, abbiamo detto “male”, eravamo delusi e lui ci ha detto: “Mi fa piacere che mi dite questo invece di dirmi siamo sereni e tranquilli quando non è vero”. È stata una persona che si è presentata bene, ha cercato di tirarci su mettendo in pratica il suo modo di giocare. Con una squadra che secondo me non era pronta a questo stravolgimento tattico. Salutandoci dopo l’ultima partita con il Bologna un po’ me l’ha confidato, “potevo magari alleggerire questo modo di pressare uomo contro uomo”. La squadra ha cercato di fare quello che ci chiedeva, con il suo modo di interpretare le partite, ma non sempre ci è riuscita. Sono stati due mesi di tantissimi bassi e pochi alti che hanno compromesso tanto la classifica di quest’anno. Però ci sono sempre sei mesi da giocare e lo faremo al massimo.

Juric è andato troppo dritto per la sua strada, senza un compromesso. C’è stato un dialogo con lui per cambiare qualcosa?
Non c’è stato un dialogo con il mister, il suo credo è rimasto lo stesso. Cercavamo di seguirlo, ma secondo me non eravamo pronti a questo stravolgimento tattico. Cambiare tre allenatori nel giro di otto mesi, tutti con idee diverse, è difficile. Non è una scusa, non è un alibi, ma è molto difficile.

Cosa è successo nello spogliatoio a Firenze?
Ci sono state delle discussioni, non mi nascondo. La Fiorentina ci ha massacrati e quando prendi cinque gol da qualsiasi squadra entri nello spogliatoio e sei un fiume in piena, vorresti buttare giù i muri. C’è stata una discussione tecnico-tattica, però poi ci siamo riuniti tutti e ci siamo detti “questa è la strada che il mister vuole prendere e andiamo dritti”. Volevamo seguire l’allenatore, ma non eravamo pronti a quello stravolgimento.

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Come hanno vissuto i senatori la contestazione? In particolare Pellegrini e Cristante. Pensi che davvero possano lasciare Roma?
Sono stati giorni difficili per tutti, non solo per i senatori, come li chiamate voi giornalisti. Non è una parola che ci piace, si sente solo a Roma. Non sei leader perché sei da più tempo alla Roma, qui ci sono leader già dopo sei mesi, noi siamo semplicemente qui da molto tempo. Siamo la vecchia guardia, i più esperti, non senatori. Il momento della contestazione è stato brutto per tutti, poi è chiaro che i ragazzi più vecchi come me, Bryan e Lorenzo la viviamo in maniera diversa perché ci sentiamo più responsabili degli altri. Sapevamo che i risultati erano brutti e che i tifosi erano liberi di contestare, ma poche volte non hanno cantato e non hanno sostenuto, ci hanno sempre dato la carica tra trasferte e Olimpico. Se Bryan e Lorenzo andranno via non lo so, penso a me stesso. Posso dire che sono più sereni loro, come tutta la squadra, grazie ai risultati delle ultime gare. Siamo molto amici, non lo nascondo, gli voglio un bene dell’anima. Spero con tutto il cuore che le cose migliorino per tutti.

Vede una luce in fondo al tunnel per Pellegrini?
Lorenzo in allenamento è sempre un esempio, anche se sta giocando meno, si allena sempre al massimo per mettere in difficoltà il mister. E sempre col sorriso. Nel calcio si vive di attimi e se avesse segnato a San Siro col Milan sarebbe cambiato tutto. È pronto per combattere per la sua squadra del cuore alla quale tiene tantissimo, si arrabbierà ma è la verità (ride, ndr).

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Ranieri ha detto che l’obiettivo a lungo termine è di vincere lo scudetto con i Friedkin, cosa ne pensa? Come vive il rapporto con la presidenza visto che è qui da quando hanno acquistato la Roma?
I presidenti tengono alla Roma, lo dimostrano i fatti. In estate hanno fatto una grande campagna acquisti insieme al direttore e a De Rossi acquistando giovani importanti che sono la base per il futuro. Sono presenti, quando vengono parlano con i calciatori, abbiamo visto Ryan alla festa di Natale. Per arrivare a vincere uno scudetto c’è bisogno di un percorso importante, non è facile farlo quanto a dirlo. Devi costruire una mentalità forte, non a parole, ma con i fatti. Allenatori e giocatori possono aiutare a crescere ma serve un percorso lungo. Con Mourinho lo abbiamo fatto in Europa con le due finali e la Conference, che ci hanno reso una realtà solida in campo internazionale. Vincere quella coppa non era affatto facile, e purtroppo Budapest ci ha impedito di avere quella spinta per arrivare a giocartela per il campionato. Vincere dà consapevolezza, come sta accadendo per l’Atalanta dopo l’Europa League. Nelle coppe abbiamo fatto partite meravigliose, dove dicevi “oggi la Roma vince, non ce n’è per nessuno” e siamo arrivati sempre in fondo. Se avessimo vinto a Budapest avremmo avuto quella fame per lottare per lo scudetto.

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Si è parlato di Napoli per lei già a gennaio…
L’ho letto ma non c’è nulla di vero. Il mio procuratore non mi ha mai detto nulla e sa quello che penso. Zero mercato, non ci penso proprio.

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