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Ötzi e i virus “antichi”: nel genoma dell’uomo dei ghiacci le tracce più remote dell’Hpv

A oltre trent’anni dalla sua scoperta tra i ghiacci del Similaun, Ötzi continua a raccontare una storia sorprendentemente attuale. L’uomo vissuto più di 5.000 anni fa sulle Alpi tra Italia e Austria si conferma non solo una testimonianza archeologica straordinaria, ma anche un vero e proprio archivio biologico. Alla lunga lista di problemi di salute già noti – fratture ossee, parassiti intestinali, carie, colesterolo elevato, intolleranza al lattosio e l’ipotesi della malattia di Lyme – si aggiunge ora una nuova possibile diagnosi: Ötzi potrebbe essere stato infettato dal papillomavirus umano Hpv16, uno dei ceppi oggi responsabili di numerosi tumori genitali e della gola. Tracce di questo virus sono state individuate nel materiale genetico estratto dalla mummia, secondo uno studio condotto da biologi dell’Università federale di San Paolo, in Brasile, e condiviso sulla piattaforma bioRxiv che non prevede una revisione.

Lo stesso ceppo virale sarebbe stato rilevato anche nei resti di Ust-Ishim, un Homo sapiens vissuto circa 45.000 anni fa nella Siberia occidentale. Due individui separati da circa 40.000 anni e da 5.000 chilometri di distanza geografica, un dato che suggerisce una circolazione antichissima dell’Hpv nella nostra specie. Se i risultati verranno confermati dalla revisione paritaria, potrebbero colmare una lacuna importante nella storia evolutiva dei virus oncogeni, dimostrando che la convivenza tra uomo e Hpv risale a tempi remotissimi.

“Abbiamo la più antica prova dell’Hpv”, afferma la bioinformatica Juliana Yazigi, prima autrice dello studio. I virus identificati, spiega, risultano più simili a quelli che studi precedenti avevano associato ai Neanderthal. Proprio per questo, secondo i ricercatori, è più probabile che sia stato l’Homo sapiens a trasmettere l’Hpv16 ai Neanderthal, e non il contrario. Una conclusione che rafforza l’idea di una coevoluzione di lunga durata tra l’uomo e questi virus. “È una scoperta molto interessante – commenta il genetista Ville Pimenoff dell’Università di Oulu, non coinvolto nella ricerca –. L’Homo sapiens è stato sostanzialmente infettato da questi virus per tutta la sua esistenza”.

Queste nuove evidenze si inseriscono in un quadro già ricco di informazioni emerse negli anni grazie allo studio del genoma di Ötzi. Un punto di svolta fondamentale è arrivato con il sequenziamento completo del suo DNA nucleare, pubblicato nel 2021 su Nature Communications da un gruppo di ricerca coordinato da Albert Zink, direttore dell’Istituto di mummiologia e dell’Iceman di Bolzano (EURAC). Dopo i primi tentativi, limitati al genoma mitocondriale, i progressi nelle tecnologie di ricostruzione dei genomi fossili hanno permesso analisi più approfondite e affidabili, condotte in laboratori e tempi differenti su campioni prelevati da diverse parti del corpo. Nei suoi tessuti sono state inoltre individuate tracce di Borrelia burgdorferi, il batterio responsabile della malattia di Lyme, una delle più antiche evidenze conosciute di questa infezione.

Lo studio

L'articolo Ötzi e i virus “antichi”: nel genoma dell’uomo dei ghiacci le tracce più remote dell’Hpv proviene da Il Fatto Quotidiano.

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