“Sapevo che senza la scorta sarebbe morta, ma quella notte poteva salvarsi”: le rivelazioni dell’ex bodyguard di Diana sugli errori fatali nella sicurezza della principessa
“Sapevo che senza la scorta sarebbe morta”. A dirlo è Ken Wharfe, oggi 77 anni, ex guardia del corpo della principessa Diana, intervistato dall’emittente britannica Channel 5 nel documentario “Diana: The Princess and the Bodyguard”. Un racconto che riporta al centro un nodo mai sciolto del tutto: la sicurezza di Lady Diana negli ultimi anni della sua vita. Wharfe entrò al servizio della famiglia reale nel 1986. Inizialmente il suo incarico era quello di occuparsi dei principini William e Harry, che all’epoca avevano rispettivamente quattro e due anni. “Nel giro di un anno”, racconta, il rapporto con Diana divenne così solido da portarlo a diventare la sua guardia del corpo personale, subentrando a Graham Smith, costretto a lasciare l’incarico a causa di un cancro in fase terminale.
Negli anni più delicati del matrimonio tra Carlo e Diana, Wharfe rimase una presenza costante. Quando nel 1992 i principi del Galles annunciarono ufficialmente la separazione, lui era ancora al suo fianco, testimone delle sue difficoltà quotidiane e delle sue paure. Il 1993 segnò però una svolta: un periodo di tensioni e conflitti che portò Diana a rinunciare alla scorta e, poco dopo, ad annunciare pubblicamente il suo ritiro dalla vita ufficiale durante un discorso all’ente benefico Headway.
Secondo Wharfe, dietro quella decisione c’era soprattutto una forte esigenza di libertà. Un desiderio che spesso entrava in collisione con le regole della sicurezza. Racconta un episodio avvenuto nel marzo del 1993, durante una vacanza a Lech, in Austria, una delle località sciistiche preferite dalla principessa: “Era una mattina presto, verso le sei e mezza”, ricorda. “Fui svegliato dall’addetto alla sicurezza notturna, che con tono imbarazzato mi disse che Diana era appena rientrata in hotel. Con mio grande stupore mi resi conto che era saltata giù dal balcone del primo piano, alto circa sei metri”.
Un altro episodio, altrettanto emblematico, avvenne a Kensington High Street. Diana decise di scendere dall’auto e andare a fare shopping da sola, senza protezione. Il giorno dopo Wharfe rassegnò le dimissioni: “È stata una decisione difficile”, spiega. “Mi dispiaceva perché mi piaceva il lavoro che facevo con lei”. Ma, aggiunge, a quel punto era consapevole di non poter più garantire la sua sicurezza. “Quasi da un giorno all’altro Diana si è ritrovata senza un addetto alla protezione. Fu un errore fatale”, afferma oggi senza esitazioni. Da qui il suo giudizio sulla notte del 31 agosto 1997, quando la principessa morì in un incidente stradale nel tunnel dell’Alma a Parigi. “Quando l’ho saputo sono rimasto completamente sbalordito”, racconta. “Ho analizzato molte volte le carenze di sicurezza di quella notte, che sono state numerose. Per me è stato molto difficile accettare il fallimento del team di protezione. Morì tragicamente quando in realtà non avrebbe dovuto”. Secondo Wharfe, alcuni passaggi avrebbero potuto cambiare il corso degli eventi: “Se l’autista fosse partito dall’hotel scortato dalla polizia e i paparazzi fossero stati identificati prima della partenza, quella notte Diana non sarebbe morta“.
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