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Nuovo aumento ingiustificato dei pedaggi autostradali. Ma la colpa non è certo della Consulta

Tra le festività di fine anno ce n’è una poco gradevole. E’ la ricorrenza dell’adeguamento dei pedaggi autostradali dal primo gennaio. Anche quest’anno infatti questi aumenteranno dell’1,5% su quasi tutti i 6mila km di rete nazionale.

Dopo una breve interruzione degli aumenti dopo il crollo del ponte Morandi, continua il “ricorrente” aumento dei pedaggi di fine anno. Si tratta di una surrettizia “scala mobile” tariffaria che assicura aumenti automatici. Quest’anno rimangono escluse le società Concessioni del Tirreno (Tronco A10 e A12), la Ivrea-Torino-Piacenza, (Tronco A5 e A21) e la Strada dei Parchi. L’aumento è autorizzato anche ai gestori con la concessione scaduta da 11 anni, come l’Autobrennero (A22). Supererà la media nazionale dell’aumento la Salerno-Pompei-Napoli con quasi il 2%.

Salvini sostiene di essere stato costretto ad aumentare i pedaggi dalla recente sentenza della Corte Costituzionale. Una sentenza scontata per chi conosce il settore e le regole. Non è una novità. La motivazione della Corte riconosce un principio: la concessione ha natura contrattuale regolata dalla convenzione, che è un contratto che vincola e obbliga entrambi i contraenti, ossia il Mit (concedente) e il concessionario (21 società autostradali).

La mancata approvazione delle tariffe riconosciute nei Piani Economici Finanziari (Pef), cioè nel contratto, o si modificano o devono essere applicate. Salvini ha avuto tre anni di tempo per modificare la struttura dei contratti, ma non l’ha fatto. Il sistema non è stato riformato a tutela degli interessi pubblici, pur sapendo che le tariffe aumentavano; i piani d’investimento sono rimasti prevalentemente lettera morta. Il traffico e i ricavi sono cresciuti, l’automazione ha quasi cancellato i casellanti e i costi di esercizio e manutentivi ridotti all’osso.

In questa fase l’aumento non farà altro che dare un’altra accelerazione inflattiva, mentre le tariffe andrebbero congelate.

Nel caos regolatorio che trasferisce parte delle competenze tra cui quella dei pedaggi all’Autorità di regolazione dei Trasporti (Art), il Mit ha colto questa occasione per assicurare gli aumenti alla sua società Autostrade dello Stato che gestisce quattro partecipazioni: il Cav, passante di Mestre partecipata pariteticamente al 50% del capitale da Autostrade dello Stato e dalla Regione del Veneto; partecipate al 35% invece l’Autostrada Asti-Cuneo, il traforo del Monte Bianco e la Torino-Bardonecchia.

Il colpo finale se l’è assicurato l’Aspi (che gestisce oltre la metà della rete), l’ex società dei Benetton, ora controllata da Cassa Depositi Prestiti Equity e dai fondi Blackstone e Macquarie. Grazie all’insipienza del Ministero dei Trasporti, si vede riconoscere un aumento ingiustificato dei pedaggi. Avrà però assicurato un aumento dei profitti senza colpo ferire.

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