Su Open Arms “c’è un giudice a Berlino”. A sinistra è l’occasione per pentirsi? No, per rilanciare l’odio contro “la via italiana”

L’ultimo disperato trucchetto delle opposizioni e dei commentatori di contorno è quello di rivoltare la morale della loro più cocente sconfitta, quella avvenuta pochi giorni fa sul processo Open Arms (ma sul tema migranti, vedrete, non sarà di certo l’ultima), nell’ennesimo attacco al governo e alla maggioranza. In soldoni l’assoluzione piena di Matteo Salvini – «perché il fatto non sussiste» – nel favoloso mondo del Nazareno, del gruppo Gedi e dei salotti televisivi dove sono “resistenti”, diventa motivo non per tornare mestamente sui propri passi, autocritica inclusa, ma per continuare a processare il centrodestra. E cercare in tutti i modi di sabotare e boicottare la linea sull’immigrazione che è diventata “via italiana” in Europa. Con un ribaltamento incredibile dei piani: per cui l’innocente e il legittimato dal mandato popolare – Salvini ieri e oggi l’impianto normativo sull’immigrazione dell’esecutivo Meloni – diventa comunque colpevole di non cedere al fanatismo no border.

Non solo. Sempre secondo gli oppositori politici e mediatici, la sentenza favorevole della magistratura giudicante nei confronti dell’ex ministro dell’Interno giallo-verde chiude la questione dello scontro politica-magistratura: non ci sarebbe alcun motivo di procedere ancora con la riforma della giustizia e la separazione delle carriere. Misure, è il mantra distorto che viene fornito da costoro, concepite come “punitive” nei confronti della magistratura. Anche qui avviene l’incredibile ribaltamento dei piani e della realtà, degno della morale kafkiana: se si supera indenni un processo (Salvini lo ha vinto rispetto a delle accuse semplicemente enormi della Procura di Palermo; e con casi analoghi in cui il Parlamento o non ha concesso l’autorizzazione a procedere o la Procura stessa, stavolta quella di Catania, ha stabilito il “non luogo a procedere”) significa che la politica non può sollevare l’esistenza di alcun problema “giustizia”. Che un programma elettorale diventa border line. Sofismi, pronunciati da autorevoli esponenti delle toghe “progressiste”, al di là di ogni decenza.

Non hanno compreso allora – o meglio, fanno totalmente finta di non comprendere gli oppositori di ogni ordine e grado – che è tutto ciò che sta “in mezzo” l’elemento che ha scardinato gli equilibri costituzionali e il mandato democratico. Quel sistema oliato, deontologicamente più che discutibile, fra certe Procure, cronisti di certi quotidiani e certa parte della politica (quando non certe società di spionaggio). Un “sistema” di cui Luca Palamara ha dato ampia documentazione – resta incredibile l’ammissione dell’ex presidente dell’Anm ai suoi colleghi secondo cui «Salvini ha ragione ma dobbiamo attaccarlo» – che fa scopa in maniera allarmante con il contenuto della e-mail scovata dal Tempo, in cui un autorevole magistrato incita all’opposizione perché Meloni non avendo interessi personali sul fronte giustizia «è più pericolosa di Berlusconi».

Ecco perché vuoi nel processo Salvini, vuoi – come nel caso dei centri in Albania o dei Cpr – con la disapplicazione di leggi approvate dal governo, alla fine ci sarà un benedetto giudice a Berlino (o, molto presto, a Bruxelles). Vero. Ma nel frattempo, i disastri politici creati dall’aspra contrapposizione ideologica-giurisdizionale degli esponenti delle correnti di sinistra avranno contribuito ad avvelenare il dibattito. E a mettere sotto attacco, con tutte le conseguenze del caso e per chissà quanto tempo, chi ha il diritto/dovere di promuovere il mandato popolare sul tema immigrazione come sulle riforme: un vulnus evidente, frutto di un contropotere organizzato che non si nasconde più. Un fenomeno praticamente italiano: perché non esistono sinistre europee o di governo così miopi, come quella nostra, davanti alle contraddizioni della narrazione immigrazionista. Ne sanno qualcosa i tedeschi che hanno visto un comunque debole e “sfiduciato” Olaf Scholz espellere senza troppa attenzione al diritto umanitario (e senza troppi scrupoli: perché sì che l’Afghanistan non è Paese sicuro) diversi afghani con precedenti penali.

Ma qui siamo in Italia. Dove a contribuire a mandare a processo l’ormai ex alleato Salvini – un anno dopo avere fatto esattamente il contrario su un caso equivalente, quello della nave Diciotti – è stato il non-partito più politicista, trasformista e inaffidabile a memoria di chi scrive: il MoVimento 5 Stelle del camaleonte Giuseppe Conte. “Dilettanti” rispetto al Pd, che come unica strada per spazzare via gli avversari ha scelto da anni e anni di subordinare il primato della politica alle tesi rivoluzionarie dei pm d’assalto e all’agenda delle Ong. Il risultato è la figuraccia ottenuta in questi giorni.

A cui seguirà presto quella che otterranno a Bruxelles, dato che l’intero nuovo pacchetto sul contrasto all’immigrazione clandestina dell’esecutivo europeo – ruolo dei Paesi terzi, definizione di Paese sicuro, accordi bilaterali – è praticamente mutuato dall’esperienza del governo Meloni. Non è passato inosservato in Europa, infatti, il tentativo della sinistra italiana (togata e politica) di tirare per la giacchetta la Corte di giustizia europea: con un effetto valanga che potrebbe compromettere ogni scelta politica sul fenomeno migratorio fra i 27 dell’Ue. Addirittura il senso stesso dei confini. Una vera e propria follia, scatenata dall’ossessione di Pd & co di contrastare una delle chiavi dell’esecutivo di destra-centro, che nessuno in Europa – a partire dagli ultimi socialisti che ancora, si fa per dire, governano – è pronto ad assecondare.

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