Acca Larenzia: la vergogna è il fallimento della giustizia, non il ricordo delle vittime
Da semplice cittadino ho maturato una convinzione sulle polemiche che accompagnano ogni ricorrenza della strage di via Acca Larenzia. Un civile dibattito risulterebbe più utile della distruzione di una targa commemorativa. I temi da affrontare non mancano. Il primo di essi riguarda senz’altro il fallimento della giustizia.
Gli assassini del 7 gennaio 1978 girano impuniti per Roma. La magistratura non è stata in grado d’individuarli. Un dato di oggettiva gravità che non si può ignorare. Anni di ricerche mi hanno portato a escludere l’esistenza dei famigerati misteri che nel nostro Paese taluni amano fantasticare. Si trattò invece dell’azione criminale concepita da un ambiente marginale dell’estrema sinistra, ossessionato dall’antifascismo militante. Rozzi macellai che uccisero secondo la logica dello “spontaneismo armato”. Ottenendo una bocciatura politica da quanti miravano ormai al cuore dello Stato.
La gravità delle reazioni che l’eccidio avrebbe innescato strideva con l’arretratezza dell’obiettivo: ragazzini inermi di una sede missina di periferia. Alla pochezza dei contenuti della rivendicazione, con tanto di voce regalata agli investigatori tramite nastro magnetico, corrisposero le condotte dissennate degli assassini. Disseminarono indizi macroscopici. Uno di loro partecipò alla carneficina azzoppato, facendosi notare da un testimone. Nell’area extraparlamentare poi la matrice apparve subito chiara: la componente interna al “movimento” che proveniva dal disciolto comitato comunista di Centocelle.
L’indagine non presentava particolari difficoltà. Eppure finì con un nulla di fatto. Perché Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti erano e restano vittime di serie B. Al pari di Stefano Recchioni, ucciso in piazza nelle ore successive all’attentato. Un omicidio consumato all’aperto, alla presenza di un centinaio di persone. Eppure l’istruttoria non portò a nulla. A 47 anni non ha più senso reclamare la punizione dei colpevoli o dei distratti. Meglio una riflessione trasversale sui danni politici causati al paese dagli Anni di piombo.
La ricorrenza di via Acca Larenzia rappresenta un’occasione persa per propiziare una memoria comune. Perché la tragedia del Tuscolano s’intreccia con gli omicidi di ragazzi di sinistra, avvenuti a Roma prima e dopo il 7 gennaio 1978. Walter Rossi, Roberto Scialabba e Ivo Zini. Altro sangue innocente versato in una guerra da cui nessuno è uscito vincitore. Ricordarli insieme rappresenterebbe un gesto di civiltà.
Anche l’arma più celebre usata nella strage di Acca Larenzia aiuta a comprendere l’importanza di una memoria condivisa e senza discriminazioni. La Skorpion della vergogna fu usata anche per assassinare Ezio Tarantelli, sindacalista di sinistra, Lando Conti, ex sindaco repubblicano di Firenze, e Roberto Ruffilli, senatore democristiano. Uccise in tutte le direzioni, unendo nel dolore ogni sponda politica. Era stata acquistata in un’armeria di Sanremo. Ma nel 1977 sparì nel nulla. Un noto cantante e un commissario di polizia la contesero al contrario. Uno accusò l’altro di esserne in possesso. Il bugiardo tra i due avrebbe dovuto spiegare come fosse finita nelle mani degli assassini di via Acca Larenzia. Ma anche quell’inchiesta non arrivò a nulla. Venne taciuta alla stampa prima di finire imbrigliata nelle maglie della prescrizione dei reati. Una fine tutta italiana. La ricorrenza della strage di via Acca Larenzia è in effetti una vergogna. Ma a doversi vergognare non sono quelli onorano le vittime.
(*Avvocato e autore di “Chi sparò ad Acca Larenzia?”)
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