L’eredità di Petra Kvitova
Petra Kvitova ha lasciato ufficialmente il tennis agonistico in occasione dell’ultimo US Open. Dopo il suo ritiro, solo Vika Azarenka rimane in attività a rappresentare la generazione di grandi giocatrici che hanno caratterizzato la prima metà degli anni ‘10. Giusto per rinfrescare la memoria, queste erano le tenniste che occupavano i vertici della classifica in quel periodo: Serena Williams, Sharapova, Clijsters, Wozniacki, Radwanska, Li Na… E qualche anno più tardi anche Halep, Kerber, Muguruza…
Mancina, come la inarrivabile connazionale Navratilova, Kvitova è nata nel marzo 1990, ed è stata una giocatrice con un inizio di carriera abbastanza anomalo: comincia con il tennis da piccolina (4-5 anni) perché ci sono dei campi vicino a casa, a Fulnek. E’ il padre a insegnarle le basi del gioco. Ma poi, al contrario della maggior parte delle tenniste affermate, fino a sedici anni rimane una autentica dilettante: nessun torneo fuori dalla Repubblica Ceca e poche ore settimanali dedicate allo sport; la sua priorità è la scuola. A sedici anni si è già al limite per pensare al tennis come professione, lei però dimostra di avere così tante doti naturali da indurre i tecnici a spingerla a provarci lo stesso, e recupera il ritardo bruciando le tappe.
A 17 anni, alla prima occasione in cui si iscrive a un torneo junior di Grade 1 all’estero (sui campi in erba di Roehampton, a Londra) vince il titolo. Una volta passata a competere tra le adulte le basta poco per farsi notare. Nel febbraio 2008, a Memphis, da numero 143 del ranking sconfigge Venus Williams, mentre nel gennaio del 2009 vince a Hobart il primo titolo a livello WTA. Grazie a questo successo, ancora diciottenne sale già al numero 40 della classifica mondiale. E sempre nel 2009 elimina allo US Open la allora numero 1 Dinara Safina:
Che giocare a tennis le risulti facile, e che non abbia bisogno di troppi allenamenti per ottenere ottimi risultati, rimarrà una costante nella sua attività; di sicuro non è mai stata una giocatrice che ha corso il rischio dell’”overtraining” e il più grave infortunio che ha subito non ha nulla a che vedere con lo sport. Ma su questo torneremo più avanti.
Se Petra ha avuto la fortuna di nascere con uno straordinario talento naturale, non si può dire sia stata altrettanto fortunata per quanto riguarda il contesto storico. Affacciarsi allora ad alti livelli nel circuito, infatti, significava sviluppare la propria carriera contro la “nuova” versione di Serena Williams. Cioè la Williams che, dopo la sconfitta al primo turno del Roland Garros 2012, decide di resettare completamente la propria vita: non si accontenta più di essere soltanto la più forte sui campi rapidi; no, la nuova Serena ha l’obiettivo di essere la migliore 365 giorni all’anno, e di vincere ovunque, anche sui campi lenti, terra battuta inclusa.
Tra il 2010 e il 2015 Serena conquista 10 titoli dello Slam; e con il ruolo di leader fuori discussione, alle altre giocatrici il massimo concesso è cercare di diventare la seconda forza del circuito. E poi per Kvitova c’è un problema ulteriore: avere le stesse predilezioni tecniche di Serena, cioè l’erba e il cemento veloce. D’altra parte certe preferenze non si possono cambiare a tavolino, sono determinate dalle naturali predisposizioni fisico-tecniche.
Comunque Kvitova si ritaglia ugualmente il proprio spazio, anche al massimo livello (due Slam vinti a Wimbledon nel 2011 e 2014) grazie a un tipo di tennis molto particolare, quasi unico, almeno in quegli anni. Infatti nessuna tennista dell’epoca, Serena inclusa, propone un tennis aggressivo quanto il suo. In un certo senso l’impostazione di gioco di Petra è una evoluzione in forma ancora più estrema del “power tennis” introdotto dalle sorelle Williams a cavallo del nuovo millennio; nel modo di stare in campo di Kvitova i colpi interlocutori sono ridotti al minimo indispensabile a favore di un palleggio ad alto rischio che abbrevia il più possibile la durata degli scambi.
La Kvitova capace di vincere gli Slam è una tennista che dispone di una prima di servizio piuttosto potente (sopra i 180 km/h) e di una seconda eccezionalmente profonda; in più non va dimenticato che, da mancina, produce traiettorie inusuali per la concorrenza. In questo modo riesce praticamente sempre a tenere l’iniziativa nei propri turni di battuta. E quando invece è nei game di risposta, decide comunque di spingere sin dal primo colpo per non essere costretta a inseguire e contenere; perché il tennis di difesa e rincorsa non fa per lei.
C’è un altro aspetto da sottolineare: in quei primi anni ‘10 del circuito i suoi colpi al rimbalzo (sia di dritto che di rovescio) sono così più potenti rispetto alla media che alcune giocatrici fra le prime cento, non abituate a una tale pesantezza di palla, non sono proprio in grado di reggere il confronto. Ci vorranno alcune stagioni e l’avvento di altre tenniste dall’impostazione affine (Lisicki, Goerges, Vendeweghe, Keys, etc.) per fare sì che nel circuito ci si abitui a fronteggiare scambi basati su simili velocità di palla. E’ un processo graduale di crescita dell’intero movimento femminile e per questo a Petra va riconosciuto un importante ruolo di apripista.
Un’altra delle caratteristiche di Kvitova è la particolare profondità media dei suoi colpi, che spesso “flirtano” con la linea di fondo. Profondità e potenza producono vincenti in serie, che le permettono di sviluppare l’eccezionale aggressività di cui parlavo. A questo proposito: ci sono diversi modi per cercare di misurare il grado di aggressività di una giocatrice (ne ho scritto QUI).
Se ci fidiamo di questa statistica decennale vediamo che fra il 2010 e il 2019 Kvitova è al primo posto in assoluto per aggressività, davanti a nomi come Goerges, la stessa Serena, Ostapenko e Giorgi. Solo con l’avvento di Yastremska e Sabalenka arriveranno giocatrici in grado di rivaleggiare con gli standard di Petra. Ecco un video con i primi game della finale del Masters vinto a Istanbul nel 2011 che illustra bene la questione:
Un tennis così estremo quasi inevitabilmente è soggetto ad alti e bassi di rendimento; e così, specie contro le tenniste forti in difesa, Kvitova alterna match nei quali è travolgente ad altri nei quali finisce per perdere, punita dai suoi stessi errori non forzati. Pur nella discontinuità, però, Kvitova si mantiene ai vertici per parecchie stagioni e finirà per ritirarsi con un palmarès di tutto rispetto: 2 Slam, 1 WTA Finals, 1 “Masterino”, 9 WTA 1000, 14 WTA 500, 4 WTA 250, oltre a una medaglia di bronzo alle Olimpiadi. Trentuno vittorie complessive (su 42 finali raggiunte) e almeno un torneo conquistato ogni anno dal 2011 al 2023, con l’eccezione del 2020 (stagione però monca a causa del Covid). A questi titoli individuali vanno aggiunti i sei vinti con la squadra ceca in Billie Jean King Cup (ex Fed Cup) nel 2011, 2012, 2014, 2015, 2016, 2018.
E se questi numeri certificano l’indiscutibile qualità di giocatrice, è anche vero che il suo rendimento è stato penalizzato da alcuni limiti fisico-tecnici. Alta oltre un metro e ottanta, piuttosto longilinea, non aveva certo nella rapidità degli spostamenti un punto forte. E anche la limitata resistenza allo sforzo, in particolare nelle giornate di caldo, poteva mandarla in crisi. Se in più aggiungiamo che soffriva di asma (per il quale aveva diritto a un TUE per poter assumere un farmaco altrimenti vietato dalle liste antidoping) si capisce che sul piano atletico non era certa la più forte del lotto.
Ma anche sul piano della pura meccanica esecutiva i colpi del suo arsenale erano di qualità differenti. Cominciamo da quelli meno sicuri. Faticava in generale su quelli in avanzamento, ma soprattutto aveva un punto debole abbastanza inspiegabile, che non è mai riuscita a sistemare nel corso della carriera: mi riferisco alla risposta, il colpo che più subiva le oscillazioni dell’umore.
Quando era ispirata poteva gestire alla grande qualsiasi tipo di battuta, ma nelle giornate-no diventava incapace di trovare il campo anche su servizi assolutamente gestibili. Anche così si spiega, per esempio, il suo H2H negativo contro la giocatrice che serviva di gran lunga più lentamente di tutto il circuito, cioè Madison Brengle. Vederla sparacchiare ovunque (specie con il dritto) in replica a battute lentissime, e farlo quasi sistematicamente sino a perdere il match, era un supplizio per i suoi tifosi. D’altra sempre in risposta aveva anche un particolare punto forte: la risposta in allungo dalla parte del rovescio. Era capace di tuffi spettacolari che producevano parabole precise e incisive; un colpo che le è sempre riuscito con una costanza stupefacente. Fossi stato il coach di una sua avversaria avrei suggerito: molto meglio servire una palla lenta sul dritto che una precisa e potente sull’allungo di rovescio.
Veniamo invece ai suoi colpi migliori, lasciando per un momento da parte il servizio, più complesso da valutare. Buona volleatrice (per gli standard attuali) soprattutto con il dritto, nello scambio da fondo campo non solo era capace, come detto, di colpi di eccezionale potenza, ma riusciva anche trovare angoli particolarmente stretti sia di dritto che di rovescio. E saper stringere le traiettorie per allargare lo spazio che l’avversario deve coprire è, a mio avviso, uno dei tratti distintivi che differenzia il tennista normale dal grande giocatore. In generale il rovescio era un po’ più stabile del dritto, ma da entrambi i lati poteva trovare colpi stretti all’inverosimile. Quando poi era in forma, il suo rovescio incrociato bimane era una specie di sentenza, in particolare sull’erba. Lo testimonia, per esempio, il vincente sul match point in occasione del secondo Slam conquistato contro Eugenie Bouchard:
Se posso aggiungere un ricordo del tutto personale sul match point: durante la partita Kvitova era apparsa così “on fire” da farmi pensare, mentre ancora approcciava l’ultima palla, che avrebbe eseguito quel colpo in quel modo, e che sarebbe risultato imprendibile. Come è puntualmente accaduto. Talmente letale era il cross di rovescio dei suoi giorni migliori.
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