Il bilancio della stagione Challenger: ha vinto l’esperienza

Dicembre, si sa, è il momento dei consuntivi e delle pagelle, approfittando di un mese tradizionalmente consacrato al riposo e alla preparazione invernale. Dunque è terminata un’altra stagione di questo circuito che a noi personalmente piace tantissimo. Qualcuno potrebbe anche chiedersi: “Ma come, non ti divertiresti di più a guardare Sinner e Musetti?” Sì e no, sarebbe la risposta. A parte che entrambi li abbiamo seguiti quando hanno cominciato a vincere, guarda caso proprio a livello Challenger, Sinner nel 2019 e Musetti l’anno successivo. Poi è ovvio che in questa cosiddetta serie B del tennis il livello tecnico sia più modesto, ma molto più coinvolgente è lo spessore umano. Per carità, non intendiamo dire che ai massimi livelli non ci sia spessore umano, solo che è talmente filtrato da staff pletorici, sponsor, uffici stampa e security che è un po’ più complicato apprezzarlo.

Nei Challenger invece puoi osservare da vicino le emozioni dei giocatori, che poi ti capita di incontrare nei vialetti del circolo dove puoi scambiare con loro qualche opinione e, perché no, concordare un’intervista. E soprattutto questi ragazzi non hanno tradotto (o non più) in punti ATP il loro talento, e quindi il timore di non farcela punteggia le loro giornate, mescolando i sentimenti in maniera disordinata ed inevitabilmente più sincera. Tutto ciò concorre a regalarci una dimensione molto più vera e familiare che attrae in maniera irresistibile uno come me che a Mozart preferiva Salieri. Prima di parlare dei giocatori, di chi ha primeggiato o di chi ha deluso è giusto però inserire il discorso in una cornice rappresentata fondamentalmente dal piano “OneVision”, pensato dall’ATP e dal presidente Andrea Gaudenzi nel giugno 2022. 

La prima fase è iniziata a gennaio del 2023 e dopo due anni pieni si può cominciare a valutarne i risultati, osservando una chiara tendenza al rialzo per quanto riguarda i guadagni dei giocatori impegnati nei Challenger.  L’ATP ha annunciato che per la stagione 2025 il montepremi complessivo offerto dagli eventi del circuito Challenger ha raggiunto la cifra record di 27,4 milioni di dollari: con un aumento di 6,2 milioni di dollari su base annua e del 135% facendo riferimento al 2022. 

Fattori cruciali per l’aumento dei premi in denaro sono stati il successo della commercializzazione dei diritti relativi al Tour Challenger e l’introduzione in calendario di alcuni eventi premium, i Challenger di categoria175, oltre all’aumento del numero di tornei Challenger di categoria 100 e 125. 

Il presidente dell’ATP  Andrea  Gaudenzi ha commentato: “Creare un percorso sostenibile per i giocatori verso il Tour ATPè vitale per il futuro del nostro sport. 

E ovviamente non è finita qui perché nel 2026 per la prima volta, la “Serie B” del circuito mondiale supererà i 30 milioni di dollari, con una crescita di altri cinque milioni rispetto all’anno che sta per concludersi. Ma c’è di più: sarà demolito anche il record di tornei di categoria. Nel 2024 era stato abbattuto il muro dei 200 tornei (207), quest’anno è stato ritoccato (216), mentre l’anno prossimo saranno addirittura 265, con l’istituzione di cinquanta nuovi tornei di categoria “50”, la più povera, sia in termini di punti che di montepremi. Ma anche, a nostro modesto parere, la più importante per agevolare il passaggio dei giovani talenti dagli ITF alla categoria superiore. La crescita dei montepremi è stata resa possibile grazie alla commercializzazione, come si diceva, dei diritti. In questo momento, il circuito viene trasmesso in venti Paesi (per l’Italia c’è DAZN, qualche tappa è andata su Sky o SuperTennis), raggiungendo un numero record di quasi 34 milioni di spettatori complessivi.  

Ma, venendo alla parte agonistica, la prima cosa che colpisce è il grande numero di vittorie di atleti che stanno vivendo la seconda parte della loro carriera. Abbiamo fissato, arbitrariamente lo confessiamo, un paletto a 27 anni, età in cui si cominciano a trarre i primi bilanci. E abbiamo scoperto che gli atleti dai 27 anni in su hanno portato a casa 88 titoli sui 216 tornei disputati, cioè circa il 41% del totale. Non pretendiamo che questo abbia valore statistico, però la cosa un po’ colpisce, soprattutto perché appare in controtendenza rispetto a quello che dovrebbe essere il core business del circuito: il lancio di nuovi talenti. Si conferma così come nei Challenger ci sia un po’ di tutto, con gli estremi che spesso si toccano.

Dai giovani emergenti (e di loro parleremo più avanti), ai grandi vecchi che cercano il rilancio dopo un infortunio o un periodo di appannamento. Ed evidentemente ci sono anche i tanti che qui hanno trovato una loro dimensione: incapaci di salire di livello ma abbastanza bravi da non sprofondare nelle sabbie mobili degli ITF. E tutti con il medesimo sogno: stare entro la posizione n.250 in classifica per poter giocare le qualificazioni Slam, cioè in altre parole garantirsi la tranquillità economica.  

Nel 2025 non c’è stato un nome che abbia dominato, come ad esempio accadde nel 2021 con Benjamin Bonzi e Tallon Griekspoor che tra tutti e due si portarono a casa qualcosa come 14 titoli. Nel 2025 il plurivincitore è stato Cristian Garin, 29enne cileno, che ha vinto cinque tornei che gli hanno consentito di rimanere in top 100, per la precisione al n.80, anche se lontano dal suo best (n.17) che risale al 2021.  

A rinforzare il concetto lo seguono in questa graduatoria il suo coetaneo Borna Coric con 4 vittorie (Lugano, Thionville, Zara e Aix en Provence) che, recentemente operato alla spalla, ha dichiarato di avere ancora tanto tennis dentro di sé. Ripartirà dal n.117 ATP per dare l’ennesima scalata alla top 100. 

Sul terzo gradino del podio troviamo Pablo Carreno Busta, 34 anni e 3 titoli (n.89 ATP), recente protagonista della finale bolognese di Coppa Davis

A pari merito con lo spagnolo c’è Marco Trungelliti, 35enne argentino che è rimasto famoso per il suo rocambolesco ripescaggio al Roland Garros del 2018, che si presenterà ai nastri di partenza della nuova stagione con il dichiarato obiettivo di entrare finalmente in quella top 100, da cui lo separano una trentina di posizioni. Sempre con tre titoli il 27enne statunitense Brandon Holt (n.113), autore di un ruggente inizio di stagione con le vittorie di Nonthaburi e Bangalore e la finale di Pune. Ma forse il caso più interessante è quello del tunisino Moez Echargui. Il nativo di La Marsa, dopo aver frequentato il College negli USA (laurea in ingegneria informatica a Nevada University), ha avuto una carriera piuttosto modesta, ostacolata dai ripetuti infortuni che l’hanno obbligato a fermarsi ripetutamente e a ricominciare quasi da zero, alla soglia dei 32 anni. 

“Ricordo quando lo scorso gennaio – dice Marco Brigo, direttore sportivo di MXP con cui il tunisino si allena dal 2022 – io e Fabio Chiappini ci siamo seduti a un tavolo con Moez e l’abbiamo invitato a riflettere su cosa volesse fare del suo futuro, data l’età e la classifica di nuovo crollata. Lui ci ha guardato negli occhi e ci ha detto ‘sto bene, credo nelle mie possibilità e penso di poter ancora raggiungere i primi 100 del mondo, quindi vado avanti’. Non aveva alcun dubbio e ha avuto ragione lui”. Da quella chiacchierata è partita una super stagione, diventata da favola fra agosto e settembre: Echargui ha vinto a Porto il primo titolo Challenger in carriera, poi si è preso il sesto ITF stagionale e quindi altri due Challenger, a Hersonissos (Grecia) e a Saint-Tropez (Francia). In tre mesi ha scalato circa 300 posizioni nel ranking e si trova oggi nei primi 150, con la certezza di debuttare nelle qualificazioni dei tornei del Grande Slam. Lo farà a gennaio all’Australian Open, a 33 anni: non è un record ma poco ci manca, e lo ripaga di una carriera fatta di enormi sacrifici, impossibilità nel raggiungere le destinazioni di molti tornei a causa del visto negato, lotta per la sopravvivenza col portafoglio spesso vuoto”. 

La storia di Echargui assomiglia ad una fiaba, vero? Cose che capitano nei Challenger, dove c’è anche chi testardamente non si rassegna a percorrere quel viale del tramonto che ha indiscutibilmente imboccato.  

Ci riferiamo innanzitutto a Marin Cilic 37 anni e una vittoria Slam in bacheca (US Open 2014), oltre alle finali di Wimbledon e AO, rispettivamente nel 2017 e 2018. Poi il passare degli anni e un numero impressionante di infortuni l’hanno fatto precipitare in classifica. Oggi continua testardamente a lottare contro ragazzi che potrebbero quasi essergli figli e ha usato il circuito cadetto come trampolino per risalire una classifica che ora lo vede al n.75. In stagione ha vinto due titoli (Girona e Nottingham). Con la vittoria spagnola ha stabilito il record assoluto del maggior tempo trascorso tra due titoli conquistati dallo stesso tennista: 17 anni e 10 mesi tra Rijeka 2007 e appunto Girona 2025.  

Con due titoli come Cilic abbiamo altri 17 atleti che appartengono in gran parte alla categoria di quelli che non si arrendono e i cui nomi, che diranno qualcosa ai nostri lettori più attenti, sono tra gli altri quelli di Carlos Taberner (n.102 ATP), Vit Kopriva (n.101), Aleksandar Kovacevic (n.60), Yoshihito Nishioka (n.110), Marton Fucsovics (n.55) e James Duckworth (n.86).  

Abbiamo poi preso in considerazione l’estremo opposto, cioè i tennisti che hanno compiuto al massimo 21 anni, un’età in cui può ancora succedere di tutto.   

Chi ha vinto più di tutti è stato il 19enne norvegese Nicolai Budkov Kjaer con 4 titoli: Glasgow, Tampere, la President Cup in Kazakhistan e Mouilleron le Captif. Di lui abbiamo scritto più volte, sempre dicendo che non ci convince del tutto. Ma Nicolai può stare tranquillo perché a suo tempo dicemmo le stesse cose anche di Carlos Alcaraz. In ogni caso alle Next Gen ATP Finals di Gedda, a partire dal 17 dicembre, avrà un’ottima occasione, per farci cambiare idea…anche se temiamo che questa non sia una delle sue priorità. 

In scia con tre vittorie ci sono lo spagnolo Rafael Jodar (19 anni) e lo statunitense Michael Zheng (21 anni e n.190) che hanno vinto tutti i loro titoli sul cemento. Un discorso a se stante meriterebbe ovviamente il giovane spagnolo (e prima o poi lo faremo) che a breve sarà chiamato a scegliere se rimanere un secondo anno alla Virginia University, dove sta spopolando e ha ottenuto il premio di Rookie of the Year, o abbracciare da subito il professionismo. Vista la classifica (n.168 ATP) e la conseguente possibilità di giocare le qualificazioni Slam a partire dall’Australia, temiamo che al College debbano già pensare ad un rimpiazzo. Chiudiamo poi con una curiosità: nel 2024 Jodar batté proprio Budkov Kjaer nella finale degli US Open Junores al termine di una partita drammatica risolta al tie-break del terzo set.  

Sicuramente le giuste premesse per una gustosa rivalità… 

Due le vittorie per Ignacio Buse (n.104), Daniel Vallejo (n.144), Rey Sakamoto (n.185) e Vilius Gaubas (n.132).  

Ma molto più promettenti, tutti con una vittoria, appaiono i croati Luka Mikrut (n.162), Dino Prizmic (n.128) e Matej Dodig (n.234), tre ragazzi che vanno a comporre un mosaico da far invidia, forse addirittura a noi italiani. Anche se, giova ripeterlo, a quest’età non esistono certezze e l’imprevisto (di ogni tipo) è sempre dietro l’angolo. Ad esempio qualcosa in più personalmente ci aspettavamo dal 19enne spagnolo Martin Landaluce (n.134 e vincitore a Orleans) e dal belga Alexander Blockx (20anni e n.116, due titoli in Portogallo e Slovacchia e finale in Canada). Ma probabilmente avevamo caricato i ragazzi di troppe aspettative proprio perché nel 2024 ci avevano molto colpiti. In ogni caso Prizmic, Landaluce e Blockx parteciperanno alle imminenti Nex Gen ATP Finals, con la concreta possibilità di mettere una bella ciliegina sulla torta. Menzione paerticolare poi per il tedesco Justin Engel (18 anni e n.187) che ad Amburgo ha battuto in una finale da sogno il nostro Federico Cinà.  

Una vittoria a testa anche per Joao Fonseca (n.24 ATP) e Alex Michelsen (n.38), ma entrambi appartengono ormai di diritto ad altre realtà ed erano qui solo di passaggio. Ci sia consentita infine una postilla per Gilles Arnaud Bailly che ha frequentato il circuito Challenger solo di striscio (una finale a Porto in agosto) ma che si è imposto all’attenzione con i suoi quattro successi a livello ITF (più due finali), guadagnandosi la posizione n.207. Al 20enne belga nativo di Hasselt un’occhiata gliela daremmo, anzi lo consacriamo ad osservato speciale per la stagione 2026. 

In totale i ‘ragazzi’ hanno conquistato 34 vittorie (cioè il 15% del totale), quindi una percentuale nettamente inferiore a quella dei giocatori più maturi. Ma nel loro caso è corretto dire che i risultati non si contano ma si pesano. 

 E gli Italiani? Tredici vittorie, con un successo in più rispetto allo scorso anno, quattro in meno rispetto alla stagione da record, quella del 2023, quando i trionfi tricolori furono addirittura 17 (per giunta con 16 finali). A guidare il gruppo degli azzurri c’è Francesco Maestrelli, a segno in tre occasioni (Francavilla, Brasov e Bergamo), mentre tutti gli altri hanno vinto una sola volta: Matteo GiganteAndrea PellegrinoMarco CecchinatoStefano TravagliaMattia Bellucci, Luciano DarderiGiulio ZeppieriStefano NapolitanoFranco Agamenone e Lorenzo Giustino.  A completate il quadro anche 13 finali, con in primo piano il Next Gen Federico Cinà battuto sulla linea del traguardo in tre occasioni. Stagione positiva dunque? Non proprio perché abbiamo avuto la conferma di come il tennis italiano di seconda fascia sia in un momento di ricambio generazionale, con tutti i più forti che ormai giocano su palcoscenici più importanti e i più giovani (Vasamì, Basile e ovviamente Cinà) cui manca ancora qualcosa per la definitiva affermazione. E speriamo che per loro il salto di qualità avvenga presto perché siamo convinti che questa sia stata l’ultima stagione Challenger per Maestrelli in quanto il tennista pisano ha tutte le carte in regola per salire di categoria. Deve solo limare alcuni dettagli tecnici e forse metterci un po’ più di convinzione nei momenti delicati delle partite.  

Poi ci sono quelli di passaggio (vedi Luciano Darderi e Mattia Bellucci) e quelli che sono ormai da troppo tempo in rampa di lancio (Matteo Gigante e Giulio Zeppieri su tutti) per non destare qualche preoccupazione. Un discorso a parte merita Francesco Passaro che appartiene di diritto alla pattuglia degli incompiuti con una stagione divisa tra circuito maggiore (due vittorie su Grigor Dimitrov) e Challenger (due sole semifinali a Sassuolo e Brest). Per non parlare di Luca Nardi (finalista al Challenger di Koblenz), incapace di portare il suo enorme talento fuori da quella comfort zone in cui temiamo si stia adagiando. Ci sono infine gli irriducibili che stanno gestendo, ognuno a modo suo, il momento della loro uscita di scena: Lorenzo Giustino a Stefano Travaglia, Marco Cecchinato a Stefano Napolitano. Discorso a parte per Franco Agamenone (vincitore a Targu Mures in settembre) che quest’anno è stato molto impegnato (felicemente ci ha detto) con pannolini e biberon.  

Più di noi hanno vinto gli Stati Uniti (in vetta a quota 23 trionfi) e la Francia (seconda a 19), ma anche Argentina (16) e Gran Bretagna (15).  Nel complesso, hanno timbrato almeno un Challenger la bellezza di 45 Paesi, tra cui alcuni ‘insospettabili’ come Costa d’Avorio, Giordania, Thailandia, Lussemburgo, Georgia e Paraguay. 

Adesso vacanza per tutti (sempre con l’eccezione delle Next Gen), ed appuntamento per i primi di gennaio direttamente in Australia (Canberra) o in Thailandia, India e Nuova Caledonia per tutti coloro che si staranno trasferendo verso gli AO. Per chi invece non ha interessi sul cemento australiano c’è il torneo indoor di Nottingham per l’esordio sul vecchio continente. 

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